Io non ho mai aspirato “ai” libri, aspiro “al” libro.
Scrivo perché credo in “una” verità da dire.
Se e quando torno a scrivere
non è perché mi accorga di “altre” verità che si possono aggiungere,
e dire “in più”, dire “inoltre”,
ma perché sento qualcosa che continua a mutare nella verità.
Quel “qualcosa” esige che non si smetta mai di ricominciare a dirla.
Tutte le cose sono state già dette;
affinché l’ascolto “attecchisca” e “il seme germogli”,
occorre sempre ricominciare.
Anunnaki: coloro che dal cielo sono venuti sulla Terra?
I Sumeri li definivano dingir, “Signori o Superiori” appartenenti ad una civiltà altamente progredita. Da costoro ricevettero tutto il loro sapere, ma soprattutto la vita, come hanno lasciato scritto nei loro “libri d’argilla” in scrittura cuneiforme.
Sebbene gli assiriologi ritenessero e ritengano tuttora corretto tradurre dingir con “dio” o “divinità”, tale termine aveva un significato molto meno religioso. Le “teste nere” (sag-gi o sag-ge in sumerico), come i Sumeri amavano definirsi probabilmente per sottolineare una loro differenza somatica rispetto ai dingir, affermavano di essere stati creati da queste entità per servirli e riverirli.
Gli Anunnaki parrebbero dunque essere i creatori dell’uomo.
Nel percorso di studi e ricerche che ho portato avanti negli anni con l’intento di dare risposta ai tanti interrogativi circa l’origine del genere umano, ho letto e raccolto così tanto materiale documentale da dover necessariamente individuare un obiettivo verso cui convogliare le mie energie e conoscenze, tenendo ben saldo il timone di una severa metodologia investigativa, altrimenti il perdersi in approfondimenti non immediatamente utili al tema centrale avrebbe potuto generare due ordini di problemi: la perdita del sentiero da seguire e l’appesantimento della trattazione.
Fortunatamente, gli indizi che man mano scaturivano dalle mie indagini indicavano con chiarezza la via da percorrere, scongiurando dunque il rischio di superflue digressioni.
Tuttavia, una volta chiusa l’inchiesta principale trattata nel mio libro “Schiavi degli Dei – l’alba del genere umano” (Drakon edizioni), riprendendo le mie ricerche non ho potuto fare a meno di tornare sulle tante attività che avevo fino ad allora tralasciato, come raccogliere maggiori informazioni sulla casta dominante del Pantheon sumero, gli Anunnaki.
Figure da me precedentemente meno indagate degli Igi.gi/Igi.gu, quali sono le divinità di rango inferiore, gli Anunnaki sono stati subito posti al centro del mio interesse: desideravo comprendere a fondo chi fossero effettivamente costoro coi quali gli Igi.gi/Igi.gu si relazionavano gerarchicamente, rendendo conto dei propri compiti sia nelle funzioni di “controllori” del genere umano che in quelle di portatori di messaggi “divini” agli uomini.
Innanzitutto, prima di affrontare il tema del significato della parola “Anunnaki”, è bene fugare ogni dubbio sulla sua corretta scrittura.
In molti testi accademici, che riportavano traduzioni dalle tavolette sumere ed accadiche, ho trovato il logogramma in questione trascritto sempre allo stesso modo: Anunnaki.
Ma la testimonianza definitiva ed incontestabile ci è fornita da chi la lingua sumera la sapeva leggere, parlare e, quel che più importa al nostro scopo, scrivere, ovvero Hammurabi, re di Babilonia vissuto tra il XIX e XVIII secolo a.C.
Sulla famosa Stele di Hammurabi conservata al Museo del Louvre di Parigi, all’altezza della seconda riga della prima colonna del Prologo del Codice troviamo ancora scritto Anunnaki.
Nel dettaglio, il termine risulta così sillabato: A.nun.na.ki.
Proseguendo nell’analisi, il termine ‘Anunnaki’ significherebbe – letteralmente – “coloro che dal cielo scesero sulla Terra”. Questa è l’affermazione che si trova nel web, nei media e nella moltitudine di testi di saggistica che trattano l’argomento. Essendo tale definizione così diffusa, sì è portati a pensare che essa sia giusta. Ma è davvero così?
La suddetta traduzione, che in verità è una interpretazione del suo autore, è da attribuirsi allo studioso ormai scomparso Zecharia Sitchin, al quale va sicuramente attribuito il merito di aver fatto conoscere con i suoi libri la storia dell’uomo raccontata dai Sumeri, ma, alla luce delle nostre attuali conoscenze, allo stesso vanno ascritte “responsabilità” indiscusse, sebbene così evidenti.
Molti, però, ritengono il suo lavoro indiscutibile, altri lo criticano ritenendolo artefatto o erroneo, ma va detto doverosamente che Sitchin, grazie alle sue pluriennali ricerche e all’esposizione delle sue tesi, obiettivamente discutibili come tutte le teorie, ha dato risposta a diversi enigmi riguardanti la genesi dell’uomo, così come va altrettanto detto doverosamente che certamente non è stato il primo, anzi. Oltretutto, Sitchin ha lasciato alcune “zone d’ombra”, questioni anche molto importanti che invece sono state sorvolate, non approfondite, lasciate prive di quei riscontri oggettivi necessari sia alla loro comprensione che alla loro soluzione.
Proprio in queste zone d’ombra si sono focalizzate le mie ultime ricerche e approfondimenti, avvalendomi di dizionari e traduzioni realizzate dagli autorevoli padri dell’assiriologia e sumerologia decenni prima che Sitchin trattasse di quegli stessi argomenti.
Non soddisfatto della traduzione, anzi interpretazione, di “Anunnaki” presentata dal saggista azero, ho condotto le mie personali indagini, i cui risultati sono esposti in quest’articolo, per scoprirne l’effettivo significato; per tale scopo, ho fatto uso di testi accademici quali documenti di riferimento.
Nel sottolineare il mio aver utilizzato materiale “ufficiale” vorrei, in primo luogo, evidenziare agli accademici e agli accaniti sostenitori dell’ortodossia, qualora ce ne fosse bisogno, che molte delle “stranezze” contenute nella letteratura sumero-accadica (e non solo in quella) sono state tradotte dai loro contemporanei o dai loro esimi predecessori e che risulta pertanto poco coerente sminuirle quando vengono usate nella loro misura letterale, anziché mitologica; in secondo luogo, vorrei mostrare a chi avanza pregiudizi sul lavoro degli accademici che i saggisti ricercatori indipendenti non dovrebbero prescindere sempre dall’ortodossia per avvalorare le proprie tesi, poiché spesso ciò che è stato formulato in ambito accademico è già di per sé completo, e modifiche o integrazioni forzate alla documentazione “ufficiale” possono risultare inutili o, ancora peggio, nascondere la realtà dei fatti.
Consultando, dunque, tre diversi testi, che potremmo definire “dizionari” di sumero e accadico, redatti tra la fine del 1800 e il 1950, ho sempre riscontrato gli stessi significati letterali. Avendo tuttavia ancora qualche titubanza, ho ritenuto utile consultare un ulteriore testo universitario, stavolta di recente pubblicazione (2007), che ha confermato pienamente i precedenti risultati, riassumibili in queste quattro possibilità:
1) L’acqua più importante/principale/migliore della Terra;
2) La prole più importante/principale/migliore della Terra;
3) Il padre (in questo caso “i padri”) più importante/principale/migliore della Terra;
4) Il liquido seminale più importante/principale/migliore della Terra.
In tutta onestà, non so dire quale di queste definizioni sia quella più giusta o corretta, probabilmente, prese singolarmente, lo sono tutte se inserite in un contesto di riferimento coerente.
Comunque, oltre ogni ragionevole dubbio, risulta evidente che Anunnaki non significhi “coloro che dal cielo scesero sulla Terra”.
Sebbene il logogramma esprima quattro diversi significati, essi presentano un denominatore comune: “della Terra”. Della Terra!
Un risultato che di certo farà discutere ed aprirà, altrettanto sicuramente, nuovi scenari dai contenuti forse anche inquietanti sulla figura degli A.nun.na.ki, un gruppo composto da esseri che i Sumeri non hanno mai indicato come “coloro che dal cielo sono scesi sulla terra”. Quella degli Anunnaki era senza dubbio una civiltà tecnologicamente avanzata, che aveva conoscenze e mezzi di navigazione marittima, aerea ed extra-planetaria, come ci descrivono magnificamente l’antica letteratura religiosa indiana e le successive citazioni bibliche; una civiltà che si spostava nei territori “controllati” per mezzo di “barche del cielo” (ma-an-na in lingua sumera) e che possiamo quindi coerentemente supporre come provenienti da un’ altra regione “della Terra”, non esclusivamente da un altro pianeta che non fosse la Terra.
La traduzione letterale, come abbiamo visto, ci ha fornito una risposta che produce nuove domande. Ad esempio: perché, sebbene i testi utilizzati per giungere al significato letterale di A.nun.na.ki siano a disposizione di studiosi e ricercatori da oltre 100 anni, nessuno pare essersi preso il disturbo di consultarli? Qualora, invece, tali documenti fossero stati consultati, perché nessuno, compreso lo stesso Sitchin, ne ha mai rivelato il significato originario?
Per quale motivo non lo ha fatto?
Non lo ha ritenuto necessario o non lo ha ritenuto opportuno?
La cosa, ovviamente, deve far riflettere, soprattutto alla luce del fatto che la manipolazione, per finalità diverse che non vanno assolutamente scartate, è decisamente dietro l’angolo!
In conclusione, allora, chi sono gli A.nun.na.ki?
Basta riflettere, guardarsi introno, e tutto appare chiaro.
Prossimamente, vedremo il significato letterale dell’origine del termine A.nun.na.ki. cioè A.NUN.NA in lingua sumerica.
A presto.
© 2009, 2010, 2016 Biagio Russo
(cfr. “Uomini e Dei della Terra”)
Noi, chi siamo?
BA’AL – Signore o BELZEBU’ – Demonio?
Assai diffuso tra i Fenici, era usuale anche tra gli Israeliti dell’epoca dei Giudici e in quella dei primi Re, come dimostrano molti nomi composti con Ba’al.
“Ba’al” significa anche “sposo”. Però il culto del “Ba’al del cielo”, venerato dai Cananei come il loro dio principale, e quello specialmente del Ba’al di Tiro (Melkart), rappresentò, dall’epoca di Elia, un grande pericolo per la purezza della fede di Iahweh, provocando la veemente condanna dei profeti, tanto ché l’uso di tale espressione, di per sé indifferente, fu bandito.
Per inciso, il nome Ba’al Zəbûl, Il signore della Soglia (dell’Aldilà), nella Bibbia viene nominato spesso spregiativamente, con un gioco di parole, come Ba’ al Zebub, “Il signore delle mosche”.
La variante Baalzebul del nome Ba’al è in effetti ampiamente attestata nella letteratura antica, ivi compreso il testo greco del Vangelo (Matteo, 10:25, 12:24-27 ecc.), e in Lingua ugaritica è attestato con l’espressione zbl b’l il cui significato è “signore della terra”.
Da Ba’al Zəbûl, a Belzebù il passo è breve.
Divinità ormai messa all’indice a favore del monoteismo ebraico, con il nome biblico Ba’ al Zebub (Belzebù in italiano) è entrato nella cultura cristiano-occidentale ed islamica come entità diabolica suprema: Beelzebub, uno dei “sette prìncipi dell’Inferno”.
È spesso identificato dalla tradizione cristiana con Satana, ma, in verità, i documenti storici ci dicono che in origine non era così.
Ba’al, sincretisticamente, proviene dal semitico Hadad, a sua volta proveniente dall’accadico Adad, la cui fonte primaria originaria è il sumero Ishkur, il dio degli uragani, tempeste, tuoni e pioggia.
Considerato tra le divinità principali del pantheon, della sua doppia valenza degli aspetti propri del dio, cioè la tempesta distruttrice e la pioggia fertile, è fatta citazione nel poema Atrahasis e nell’Epopea di Gilgamesh.
La sessualità degli antichi popoli
La maggior parte dei popoli antichi, dai tempi più remoti (60.000/40.000 anni fa) viveva secondo una filosofia che cercava l’armonia con l’energia cosmica, di cui l’energia sessuale era parte integrante.
L’energia cosmica era la manifestazione dell’energia di Dio, che parlava un linguaggio femminile.
Durante il periodo che va dal paleolitico al neolitico (dal 10.000 a.C. quando cominciò a svilupparsi l’agricoltura) fino all’Età del Bronzo, Dio fu associato alla Grande Madre Terra, la fecondità, che dominava in tutte le civiltà più antiche, dall’Europa al subcontinente indiano.
Essa si manifestava mediante la sua capacità creativa, in ogni sua forma (animale, vegetale, minerale e umana).
La sessualità e il parto erano espressioni della sua energia e del suo potere nelle vite degli esseri umani e di ogni essere vivente.
All’immagine del femminino archetipico viene fornita una definizione mitologica (Inanna, l’Iside egizia, la Grande Madre Neolitica, l’Eva, la Sofia e la Maria bibliche) che è sopravvissuta per più di cinquemila anni, anche se è stata oscurata, frammentata e travisata.
(M. Concannon)