I primi paralleli con la Bibbia: il Paradiso

Le ricerche archeologiche condotte nei “paesi della Bibbia” e che hanno dato risultati di primaria importanza, gettano una viva luce sulla Bibbia stessa, sulle sue origini e sull’ambiente in cui si formò.
Sappiamo ora che questo libro, il più grande classico di tutti i tempi, non è sorto dal nulla. Quest’opera ha radici che affondano in un lontano passato e si estendono sino ai paesi vicini a quello dove essa apparve.
È appassionante, per il decifratore di tavolette, per il traduttore di testi cuneiformi, seguire il cammino delle idee e delle opere attraverso queste antiche civiltà, dai Sumeri fino agli Aramei. I Sumeri, come riporto in altro articolo, non esercitarono ovviamente un’influenza diretta sugli Ebrei, essendo scomparsi assai prima dell’apparire di questi ultimi. Ma non c’è il minimo dubbio che essi abbiano influenzato in profondità i Cananei, predecessori degli Ebrei in Palestina. Così si spiegano le numerose analogie rilevate tra i testi sumerici e alcuni libri della Bibbia. Queste analogie non sono isolate; esse figurano sovente “in serie”, come ora vedremo: si tratta dunque di un vero e proprio parallelismo.
Un primo esempio prende le mosse dal poema di Sumer intitolato Enki e Ninhursag. Il tema trattato è quello del “paradiso”, a dire il vero, non del paradiso terrestre in senso biblico, ma di quello che fu sistemato per gli dei stessi, sulla terra di Dilmun.

Esiste, dice il poema, una regione chiamata Dilmun. È un paese “puro”, “netto” e “risplendente, un “paese dei viventi”, dove non regna né la malattia né la morte.
Tuttavia qualcosa manca a Dilmun: l’acqua dolce, indispensabile agli animali e alle piante. Enki, il gran dio sumerico dell’acqua, ordina perciò a Utu, il dio del sole, di far scaturire l’acqua dolce dalla terra e di irrigarne abbondantemente il suolo. Dilmun diventa così un rigoglioso giardino.
Ninhursag, la grande dea-madre dei Sumeri, che in origine era forse la Terra-Madre, ha fatto spuntare otto piante in questo paradiso degli dei, dopo aver dato vita a tre generazioni di dee, generate dal dio dell’acqua. A dire il vero non si afferra molto bene il significato di un procedimento tanto complicato, ma il poema vi insiste, sottolineando altresì il fatto che i parti furono indolori. A seguire, Enki, curioso certamente di conoscerne il sapore, le fa cogliere dal suo messaggero Isimund. Questi le presenta al padrone, che le mangia una dopo l’altra. Azione per niente garbata a Ninhursag che, in preda alla collera, lo maledice e lo vota alla morte.
Comunque, questo paradiso – la cui nozione stessa sembra essere di origine sumerica, nel Medio-Oriente – ha una collocazione geografica determinata. È probabile, infatti, che il paese di Dilmun, dove i Sumeri lo pongono, si trovi nel sud-ovest della Persia. Ora i Babilonesi, popolo semitico che vinse i Sumeri, situarono in questa stessa regione il loro “paese dei viventi”. Quanto alla Bibbia, essa dice che Jahvè sistema un giardino in Eden (in sumerico EDIN = steppa), dal lato dell’oriente (Gen 2,8). “Un fiume, aggiunge il testo della Genesi, sgorgava da Eden per irrigare il giardino e di là si divideva in quattro rami. Il nome del primo è Phison…, il nome del secondo fiume è Gihon…, il nome del terso è il Tigri…, il quarto fiume è l’Eufrate”. Queste indicazioni consentono di pensare che il Dilmun sumerico e l’Eden ebraico in origine fossero la stessa cosa.
Secondo punto: il passo del poema Enki e Ninhursag che racconta come il dio del sole irrighi Dilmun con l’acqua dolce scaturita dalla terra corrisponde a quello della Bibbia (Gen, 2,6): un fiotto saliva dalla terra e irrigava tutta la superficie del suolo”.
Terzo punto: la maledizione pronunziata contro Eva: “Io moltiplicherò le tue sofferenze e specialmente quelle della gravidanza; tu partorirai nel dolore…” suppone uno stadio superiore, quello descritto dal poema sumerico, quando la donna partoriva senza soffrire.
Quarto punto: la colpa commessa da Enki col mangiare le otto piante di Ninhursag fa pensare al peccato di cui si macchieranno Adamo ed Eva col magiare il frutto dell’albero della conoscenza.
Un’analisi più accurata di porta, dunque, a una constatazione ancora più stupefacente. Essa fornisce la spiegazione di uno dei più sconcertanti enigmi della leggenda biblica del paradiso: questo posto dal passo in cui si vede Dio formare la prima donna, madre di tutti i viventi, da una costola di Adamo (Gen 2,2).
Perché una costola?

Duomo di Orvieto (TR) – Creazione di Eva

Se si ammette l’ipotesi di un influsso della letteratura sumerica – di questo poema di Dilmun e di altri simili – sulla Bibbia, le cose si fanno chiare.
Nel nostro poema, una delle parti malate del corpo di Enki, conseguenza dell’aver ingerito le otto piante create da Ninhursag, è per l’appunto una “costola”. Ora, in sumerico, costola si dice “ti”. La dea creata per guarire la costola di Enki è chiamata Ninti, “La Signora della costola”.
Ma la parola sumerica “ti”, significa pure “far vivere”.
Gli scrittori sumerici, giocando sulle parole, giunsero a identificare “La Signora della costola” con la “Signora che fa vivere”. Questo calembour letterario, uno dei primi in ordine di tempo, passò nella Bibbia, dove predette naturalmente il suo valore, poiché in ebraico i termini che significano “costola” e “vita” non hanno nulla in comune.

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Questa spiegazione fu scoperta da Kramer nel 1945. Più tardi, però, si conobbe che la stessa ipotesi era stata suggerita trent’anni prima da un grande assiriologo francese, Vincent Scheil, come ebbe a segnalare l’orientalista americano William Albright, che pubblicò il lavoro di Kramer nel “Supplementary Studeis”, n. 1, del Bulletin of the American Schools of Oriental Research.

(dall’archivio bibliografico personale di Biagio Russo, Kramer I Sumeri – Alle radici della storia, © 1979 Newton Compton editori)

Perché la nostra presenza qui, ora

Perché la nostra presenza, qui, ora?

Il perché della nostra esistenza, per chi?

E tante altre domande sulla nostra provenienza che spesso ci poniamo senza trovare una spiegazione, o delle risposte chiare che non siano le solite espresse dall’antropologia, mediante la teoria darwiniana, o dalle religioni.

Noi… chi siamo?  È la domanda che sintetizza la nostra voglia di sapere.

Ma non c’è sapere se non c’è Conoscenza, la conoscenza storica della nostra esistenza, quella che si ottiene cercando, scavando, analizzando, verificando, con tenacia, passione e determinazione. Ma soprattutto predisponendoci senza preconcetti o retaggi alle risposte che si troveranno sul sentiero della ricerca, nella consapevolezza che per comprendere il presente, “Noi… chi siamo?”, dobbiamo conoscere il passato, “Da dove veniamo”, quel passato fin troppe volte ammantato dal velo del segreto,  o volutamente fatto cadere nell’oblio.

Sempre e ancora con la consapevolezza che quel “velo” non è inamovibile e l’oblio, sebbene sia una dimenticanza duratura,  non lo è per sempre, è un fenomeno che si può invertire. Sempre che lo si voglia…

(c) Biagio Russo

Il matrimonio sacro

A Sumer il Matrimonio Sacro, l’unione tra i due amanti divini, veniva nello stesso tempo rappresentato e realizzato con una vera notte d’ amore tra il re del paese, nelle vesti di Dumuzi, e una sacerdotessa in quelle di Inanna.

La cerimonia notturna, che avveniva nella camera più riposta del tempio, era segreta e si svolgeva secondo un rituale tramandato fin dalla notte dei tempi.
Secondo quanto è riportato nel famoso poema L’ EPOPEA DI GILGAMESH, Isthar s’ innamorò di Gilgamesh e tentò di sedurlo, ma questi la respinse ed ella, furente d’ odio e di gelosia, gli lanciò una terribile maledizione che gettò l’ eroe nella pena e nell’ angoscia.

Alla dea Isthar furono intitolate le possenti e meravigliose mura di Babilonia, la cui fama circolò per tutto il mondo antico e si protrasse nei secoli. Si diceva che fossero inespugnabili e che la stessa dea, in tenuta da battaglia, sorvegliasse l’ ingresso principale alla città durante gli assalti o i preparativi di guerra.
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Grazie Francesca

 

 

 

Libertà e conoscenza

La libertà ha sempre bisogno di essere nutrita e ciò che maggiormente la nutre è il calore dell’entusiasmo al di là di ogni controllo razionale.

Da dove lo spirito assume nutrimento in quanto informazione?
Dalla sapienza, la più alta produzione della mente.

In Occidente di solito si ritiene che la più alta produzione della mente sia la conoscenza, io ritengo che non sia così per due motivi due:
1. perché l’utilizzo della conoscenza richiede un valore più alto della conoscenza stessa, una luce che indirizzi, essa può diventare pericolosa e persino nociva;
2. perché la conoscenza è senza fondo, quanto più si avanza lungo il sentiero della conoscenza, tanto più ci si rende conto di non sapere;
quindi non può essere la produzione più alta della mente.

La Sapienza presuppone la conoscenza ma la supera.
Il più alto prodotto della mente non è il sapere, la dottrina, la gnosi, la scienza, è la Sapienza, cioè l’uso ordinato e giusto della conoscenza acquisita.

 

L’insegnamento degli Antichi Maestri

Nel 1995 vennero pubblicati sull’American Journal of Cardiology i risultati degli studi effettuati da un team di medici specialisti.

In sintesi, l’articolo riportava letteralmente quanto segue:

“Differenti emozioni influenzano sia il Sistema Nervoso Autonomo che l’equilibrio psicologico in misurabili diversi modi.”

Quindi, ma senza generalizzare, se si vuole preservare o curare il Sistema Nervoso Autonomo, o meglio, se si vuole evitare che siano disarmoniche le informazioni che il cervello invierà al cuore e in tutto il corpo, “la cura naturale” o “la prevenzione” sembrerebbe una sola: evitare di usare il cuore e il gioco è fatto!

In verità, la soluzione, cioè “la cura”, sta nel trovare il giusto equilibrio tra la mente ed il cuore, come insegnavano gli Antichi Maestri, facendo attenzione, però, a non sopprimere quest’ultimo, perché, se così fosse, nella vita presenterà inesorabilmente il suo conto.

Biagio Russo

Liberamente tratto da “Uomini e Dei della Terra“, pag. 177
(c) Drakon Edizioni

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Le verità

“Tutte le verità passano attraverso tre stadi:
– vengono ridicolizzate;
– vengono violentemente contestate;
– vengono accettate dandole come evidenti.”

(Arthur Schopenhauer)

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Ma fate molta attenzione a chi “se la canta e se la suona” e che, in questo contesto, per affermare se stesso, fa ricorso a ignobili tecniche persuasive “vendendosi” come povera vittima!
Diffidate della falsa conoscenza, è molto peggiore dell’ignoranza!
Il lupo si veste da agnello, cosa avviene dopo lo sapete…
Usiamo la testa, non facciamocela usare, da nessuno!

Biagio Russo

 

Due strade trovai nel bosco

Ci teniamo tutti a essere accettati, ma…
dovete credere che i vostri pensieri siano unici e vostri,
anche se ad altri sembrano strani e inverosimili,
anche se il gregge può dire: “Dici baaalle!”
Come disse Frost:
“Due strade trovai nel bosco…
io scelsi quella meno battuta
ed è per questo che sono diverso…”

 

Tutte le cose sono state già dette

Io non ho mai aspirato “ai” libri, aspiro “al” libro.
Scrivo perché credo in “una” verità da dire.
Se e quando torno a scrivere
non è perché mi accorga di “altre” verità che si possono aggiungere,
e dire “in più”, dire “inoltre”,
ma perché sento qualcosa che continua a mutare nella verità.
Quel “qualcosa” esige che non si smetta mai di ricominciare a dirla.
Tutte le cose sono state già dette;
affinché l’ascolto “attecchisca” e “il seme germogli”,
occorre sempre ricominciare.

Anunnaki: coloro che dal cielo sono venuti sulla Terra?

I Sumeri li definivano dingir, “Signori o Superiori” appartenenti ad una civiltà altamente progredita. Da costoro ricevettero tutto il loro sapere, ma soprattutto la vita, come hanno lasciato scritto nei loro “libri d’argilla” in scrittura cuneiforme.

Sebbene gli assiriologi ritenessero e ritengano tuttora corretto tradurre dingir con “dio” o “divinità”, tale termine aveva un significato molto meno religioso. Le “teste nere” (sag-gi o sag-ge in sumerico), come i Sumeri amavano definirsi probabilmente per sottolineare una loro differenza somatica rispetto ai dingir, affermavano di essere stati creati da queste entità per servirli e riverirli.
Gli Anunnaki parrebbero dunque essere i creatori dell’uomo.

Nel percorso di studi e ricerche che ho portato avanti negli anni con l’intento di dare risposta ai tanti interrogativi circa l’origine del genere umano, ho letto e raccolto così tanto materiale documentale da dover necessariamente individuare un obiettivo verso cui convogliare le mie energie e conoscenze, tenendo ben saldo il timone di una severa metodologia investigativa, altrimenti il perdersi in approfondimenti non immediatamente utili al tema centrale avrebbe potuto generare due ordini di problemi: la perdita del sentiero da seguire e l’appesantimento della trattazione.
Fortunatamente, gli indizi che man mano scaturivano dalle mie indagini indicavano con chiarezza la via da percorrere, scongiurando dunque il rischio di superflue digressioni.
Tuttavia, una volta chiusa l’inchiesta principale trattata nel mio libro “Schiavi degli Dei – l’alba del genere umano” (Drakon edizioni), riprendendo le mie ricerche non ho potuto fare a meno di tornare sulle tante attività che avevo fino ad allora tralasciato, come raccogliere maggiori informazioni sulla casta dominante del Pantheon sumero, gli Anunnaki.

Figure da me precedentemente meno indagate degli Igi.gi/Igi.gu, quali sono le divinità di rango inferiore, gli Anunnaki  sono stati subito posti al centro del mio interesse: desideravo comprendere a fondo chi fossero effettivamente costoro coi quali gli Igi.gi/Igi.gu si relazionavano gerarchicamente, rendendo conto dei propri compiti sia nelle funzioni di “controllori” del genere umano che in quelle di portatori di messaggi “divini” agli uomini.
Innanzitutto, prima di affrontare il tema del significato della parola “Anunnaki”, è bene fugare ogni dubbio sulla sua corretta scrittura.
In molti testi accademici, che riportavano traduzioni dalle tavolette sumere ed accadiche, ho trovato il logogramma in questione trascritto sempre allo stesso modo: Anunnaki.
Ma la testimonianza definitiva ed incontestabile ci è fornita da chi la lingua sumera la sapeva leggere, parlare e, quel che più importa al nostro scopo, scrivere, ovvero Hammurabi, re di Babilonia vissuto tra il XIX e XVIII secolo a.C.
Sulla famosa Stele di Hammurabi conservata al Museo del Louvre di Parigi, all’altezza della seconda riga della prima colonna del Prologo del Codice troviamo ancora scritto Anunnaki.

Nel dettaglio, il termine risulta così sillabato: A.nun.na.ki.

Proseguendo nell’analisi, il termine ‘Anunnaki’ significherebbe – letteralmente – “coloro che dal cielo scesero sulla Terra”. Questa è l’affermazione che si trova nel web, nei media e nella moltitudine di testi di saggistica che trattano l’argomento. Essendo tale definizione così diffusa, sì è portati a pensare che essa sia giusta. Ma è davvero così?
La suddetta traduzione, che in verità è una interpretazione del suo autore, è da attribuirsi allo studioso ormai scomparso Zecharia Sitchin, al quale va sicuramente attribuito il merito di aver fatto conoscere con i suoi libri la storia dell’uomo raccontata dai Sumeri, ma, alla luce delle nostre attuali conoscenze, allo stesso vanno ascritte “responsabilità” indiscusse, sebbene così evidenti.
Molti, però, ritengono il suo lavoro indiscutibile, altri lo criticano ritenendolo artefatto o erroneo, ma va detto doverosamente che Sitchin, grazie alle sue pluriennali ricerche e all’esposizione delle sue tesi, obiettivamente discutibili come tutte le teorie, ha dato risposta a diversi enigmi riguardanti la genesi dell’uomo, così come va altrettanto detto doverosamente che certamente non è stato il primo, anzi. Oltretutto, Sitchin ha lasciato alcune “zone d’ombra”, questioni anche molto importanti che invece sono state sorvolate, non approfondite, lasciate prive di quei riscontri oggettivi necessari sia alla loro comprensione che alla loro soluzione.
Proprio in queste zone d’ombra si sono focalizzate le mie ultime ricerche e approfondimenti, avvalendomi di dizionari e traduzioni realizzate dagli autorevoli padri dell’assiriologia e sumerologia decenni prima che Sitchin trattasse di quegli stessi argomenti.
Non soddisfatto della traduzione, anzi interpretazione, di “Anunnaki” presentata dal saggista azero, ho condotto le mie personali indagini, i cui risultati sono esposti in quest’articolo, per scoprirne l’effettivo significato; per tale scopo, ho fatto uso di testi accademici quali documenti di riferimento.
Nel sottolineare il mio aver utilizzato materiale “ufficiale” vorrei, in primo luogo, evidenziare agli accademici e agli accaniti sostenitori dell’ortodossia, qualora ce ne fosse bisogno, che molte delle “stranezze” contenute nella letteratura sumero-accadica (e non solo in quella) sono state tradotte dai loro contemporanei o dai loro esimi predecessori e che risulta pertanto poco coerente sminuirle quando vengono usate nella loro misura letterale, anziché mitologica; in secondo luogo, vorrei mostrare a chi avanza pregiudizi sul lavoro degli accademici che i saggisti ricercatori indipendenti non dovrebbero prescindere sempre dall’ortodossia per avvalorare le proprie tesi, poiché spesso ciò che è stato formulato in ambito accademico è già di per sé completo, e modifiche o integrazioni forzate alla documentazione “ufficiale” possono risultare inutili o, ancora peggio, nascondere la realtà dei fatti.

Consultando, dunque, tre diversi testi, che potremmo definire “dizionari” di sumero e accadico, redatti tra la fine del 1800 e il 1950, ho sempre riscontrato gli stessi significati letterali. Avendo tuttavia ancora qualche titubanza, ho ritenuto utile consultare un ulteriore testo universitario, stavolta di recente pubblicazione (2007), che ha confermato pienamente i precedenti risultati, riassumibili in queste quattro possibilità:

1) L’acqua più importante/principale/migliore della Terra;
2) La prole più importante/principale/migliore della Terra;
3) Il padre (in questo caso “i padri”) più importante/principale/migliore della Terra;
4) Il liquido seminale più importante/principale/migliore della Terra.

In tutta onestà, non so dire quale di queste definizioni sia quella più giusta o corretta, probabilmente, prese singolarmente, lo sono tutte se inserite in un contesto di riferimento coerente.
Comunque, oltre ogni ragionevole dubbio, risulta evidente che Anunnaki non significhi “coloro che dal cielo scesero sulla Terra”.
Sebbene il logogramma esprima quattro diversi significati, essi presentano un denominatore comune: “della Terra”. Della Terra!
Un risultato che di certo farà discutere ed aprirà, altrettanto sicuramente, nuovi scenari dai contenuti forse anche inquietanti sulla figura degli A.nun.na.ki, un gruppo composto da esseri che i Sumeri non hanno mai indicato come “coloro che dal cielo sono scesi sulla terra”. Quella degli Anunnaki era senza dubbio una civiltà tecnologicamente avanzata, che aveva conoscenze e mezzi di navigazione marittima, aerea ed extra-planetaria, come ci descrivono magnificamente l’antica letteratura religiosa indiana e le successive citazioni bibliche; una civiltà che si spostava nei territori “controllati” per mezzo di “barche del cielo” (ma-an-na in lingua sumera) e che possiamo quindi coerentemente supporre come provenienti da un’ altra regione “della Terra”, non esclusivamente da un altro pianeta che non fosse la Terra.
La traduzione letterale, come abbiamo visto, ci ha fornito una risposta che produce nuove domande. Ad esempio: perché, sebbene i testi utilizzati per giungere al significato letterale di A.nun.na.ki siano a disposizione di studiosi e ricercatori da oltre 100 anni, nessuno pare essersi preso il disturbo di consultarli? Qualora, invece, tali documenti fossero stati consultati, perché nessuno, compreso lo stesso Sitchin, ne ha mai rivelato il significato originario?
Per quale motivo non lo ha fatto?
Non lo ha ritenuto necessario o non lo ha ritenuto opportuno?
La cosa, ovviamente, deve far riflettere, soprattutto alla luce del fatto che la manipolazione, per finalità diverse che non vanno assolutamente scartate, è decisamente dietro l’angolo!
In conclusione, allora, chi sono gli A.nun.na.ki?
Basta riflettere, guardarsi introno, e tutto appare chiaro.
Prossimamente, vedremo il significato letterale dell’origine del termine A.nun.na.ki.  cioè A.NUN.NA in lingua sumerica.
A presto.

 

© 2009, 2010, 2016 Biagio Russo
(cfr. “Uomini e Dei della Terra”)