Svelato il mistero dell’ufo del Mar Baltico?

Sembrerebbe che…

Le foto riportate (v. figura ) non rappresentano la realtà, bensì una ricostruzione grafica finalizzata alla realizzazione di un documentario. In effetti, i sub rappresentati con le torce producenti fasci di luce sono una cosa bizzarra che fa pensare subito ad una manipolazione dell’immagine, a prescindere dalla profondità in cui si trova il misterioso reperto, oltre gli 80 mt.


Il caso non è nuovo e risale all’incirca ai primi 10 anni del 2000.

L’oggetto scoperto sul fondo del mare sembrava essere tutto, meno che un ufo caduto dal cielo. La conferma che si tratti realmente di qualcosa di terrestre e soprattutto di naturale arriva indirettamente da un’intervista radio rilasciata da Peter Lindberg, responsabile del gruppo Ocean X, che fece la “scoperta” attraverso rilevamenti sonar del fondo oceanico.

Quel che sembrava essere una nave aliena adagiata sul fondo del Mar Baltico in realtà non è altro che un deposito di materiale legato all’ultima glaciazione.

Nell’intervista inizialmente egli parla dell’oggetto con tanti se e ma e con diversi condizionali “Esso possiede delle strutture a scala molto strane e se venne costruito ciò avvenne prima dell’ultima glaciazione, cioè prima di 20.000 anni fa. Se fosse Atlantide sarebbe molto sorprendente”.
Poi, però, durante l’intervista Lindberg riconosce che l’oggetto potrebbe essere naturale, potrebbe essere un grande asteroide penetrato nel ghiaccio durante l’era glaciale, o un vulcano sottomarino. Tuttavia egli continua a sottolineare che i geologi ritengono la “cosa” molto strana, perché là sotto non ci dovrebbero essere vulcani. Poi dice che egli ha realizzato un documentario sull’oggetto, da cui sono tratte le immagini riprodotte in maniera artefatta.
Lindberg poi, sostiene di aver dato a Volker Brucher dell’Università di Stoccolma un campione di roccia da analizzare e un giornale svedese ha riportato che il ricercatore è rimasto molto sorpreso nell’aver scoperto che si trattava di una roccia vulcanica. Da questa sorpresa si evincerebbe che il ricercatore ipotizza che la struttura sarebbe un’antichissima costruzione sulla falsa riga di Atlantide. Ma la voce ufficiale di Brucher dice: “delle rocce che mi sono state sottoposte sono in realtà degli gneiss (rocce metamorfiche) dei graniti e delle arenarie  ”. E questo spiega esattamente ciò che ci si aspetta di trovare in una valle glaciale di migliaia di anni fa, ossia rocce trasportate dai ghiacci di provenienza diversa, compreso un piccolo campione di roccia vulcanica.
A questo punto Lindberg non ha risposto all’ipotesi avanzata da Brucher, ma che al momento risulta la più semplice, la più naturale, la meno esotica…
Tra l’altro, cosa molto importante, dell’oggetto misterioso del Mar Baltico non esistono immagini chiare se non la solita immagine ottenuta con il sonar, che, dicono gli esperti:
“…  è stata effettuata a bassa risoluzione e non permette alcuna interpretazione!”


Peccato davvero perché un bell’uSo (unidentified Submarine object) ci mancava proprio da analizzare…

Ma le ricerche pare continuino…

 

Quando operate una scelta — qualsiasi essa sia…

Che vi piaccia o no, tutto quello che accade in un determinato momento è il risultato di scelte precedenti.
Sfortunatamente molti le operano senza rendersene conto e perciò non le considerano tali, anche se in realtà lo sono.
Se io vi insultassi, molto probabilmente vi offendereste; se vi facessi un complimento, molto probabilmente ne sareste contenti o lusingati.
In entrambi i casi, se riflettete, fareste una scelta.
Potrei insultarvi e voi potreste scegliere di non offendervi; potrei farvi un complimento e voi potreste scegliere di non prenderlo in considerazione.
In altre parole, molti di noi — anche se continuano a fare un’infinità di scelte — reagiscono solo in base a riflessi condizionati, scatenati continuamente dalle persone e dalle circostanze e trasformati in comportamenti prevedibili. Tali riflessi ricordano quelli studiati da Pavlov, famoso per aver dimostrato che se a un cane viene somministrato del cibo ogni volta che suona un campanello, entro breve tempo incomincia a salivare non appena sente il trillo, perché associa uno stimolo a un altro.
La maggior parte delle persone sviluppa, per effetto dei riflessi condizionati, risposte ripetitive e prevedibili agli stimoli dell’ambiente in cui si trova. Le reazioni individuali vengono, a quanto pare, innescate automaticamente dalle persone e dalle circostanze; in realtà, esse costituiscono le continue scelte che nella vita operiamo inconsciamente.
Se per un istante osservate dall’esterno il processo decisionale nel momento stesso in cui effettuate una scelta, la trasportate dal livello inconscio a quello conscio. Questa procedura vi consente di ottenere una grande quantità di energia.

Quando operate una scelta — qualsiasi essa sia — ponetevi due interrogativi:
1. Quali sono le conseguenze della scelta che mi accingo a fare?
In cuor vostro le saprete subito individuare.
2. La scelta che mi accingo a compiere porterà la felicità a me e a quelli che mi circondano?

Se la risposta è positiva, la scelta va attuata;
se, al contrario, vi suscita angoscia per voi stessi o per quelli che vi stanno vicino, rinunciateci: è tutto così semplice.

Tra le innumerevoli scelte che si presentano ogni secondo, ne esiste una sola capace di generare la felicità per noi e per gli altri.
La scelta giusta porterà a una forma di comportamento definita «giusta azione spontanea», ovvero l’azione giusta al momento giusto, la risposta adatta a ogni situazione, l’azione che arricchisce l’individuo e tutti coloro che ne vengono influenzati.

L’universo si avvale di un meccanismo molto interessante che aiuta l’uomo a fare spontaneamente le scelte opportune e che è regolato dalle sensazioni corporee. Il nostro corpo avverte infatti due tipi di sensazioni: di benessere e di disagio.
Al momento di compiere una scelta cosciente, concentratevi sul vostro corpo e chiedete a esso:
Cosa succede se effettuo questa scelta? Se avvertite una sensazione di benessere, la scelta è giusta;
in caso contrario, è inadeguata.

Sebbene per alcuni le sensazioni di benessere e di disagio siano localizzate nell’area del plesso solare, per gran parte degli individui esse vengono percepite nella regione cardiaca.
Concentrate la vostra attenzione nell’area del cuore, interrogatelo sul da farsi e aspettate che vi dia una risposta: una risposta fisica, sotto forma di sensazione, anche se estremamente lieve.

(cfr. Deepak Chopra)

Le dimenticate origini della Festa del…

Il 1° maggio nasce il 20 luglio 1889, a Parigi.
Una festa laica di cui a lanciare l’idea fu il congresso della Seconda Internazionale, riunitosi in quei giorni nella capitale francese.
Si trattò di una scelta simbolica, una commemorazione. Infatti, tre anni prima, il 1° maggio 1886, una grande manifestazione operaia svoltasi a Chicago, era stata repressa nel sangue.
Ma, per avvicinare alle celebrazioni il mondo cattolico, nel 1955, in Italia, Papa Pio XII istituì anche la festa di San Giuseppe Lavoratore, da festeggiare, ovviamente, lo stesso giorno, il 1° maggio; si trattò di un’azione mirata e voluta per “richiamare” le folle alla venerazione del sacro e tralasciare il profano.
Che la Chiesa sia riuscita o meno e se tanto o poco nel suo intento di governare i popoli (potere temporale), non sta a me dirlo: io sono un ”maniaco ricercatore delle origini”.
Pertanto, è a tal proposito che condivido con voi quanto è di mia conoscenza, in merito alle origini della festa del 1° maggio.
La ricorrenza in questione ha origini molto antiche: risalgono ai rituali celtici praticati dai druidi nell’antica Irlanda e in Gallia.
Le fonti storiche gaeliche ci dicono che i druidi, sacerdoti delle antiche popolazioni celtiche, accendevano dei falò sulla cima dei colli e vi facevano passare attraverso il bestiame del villaggio sia in segno di buon augurio che per purificarlo. Anche le persone attraversavano i fuochi, allo stesso scopo.
Questa festività prende il nome di Beltane, letteralmente “fuoco di Bel”, ed è la festa della divinità panceltica omonima il cui significato, in antico irlandese, è “fuoco luminoso”.
Questa antica tradizione trova ancora applicazione anche in Italia, dove per l’occasione si fanno i cosiddetti “fogheracci”, ma è anche una celebrazione dell’avvento di “Madonna Primavera” onorata, per esempio, ad Assisi: una bellissima festa in costume medievale a cui partecipai tempo fa, conosciuta come “Festa di Calendimaggio”.
Mi fermo qui.
Ovviamente, dati i riferimenti che ho esposto sinteticamente, chi vorrà potrà approfondire l’argomento e “scoprire” come tale festa sia una celebrazione di alto rispetto della natura che ci circonda, un rispetto che tutti dovrebbero riapprendere, un rispetto che non è né di destra, né di sinistra, né di centro, perché la Natura è universale.
Perché la Natura è di tutti.
Perché la Natura è Tutto! 🙏☀️💙
(c) Biagio Russo

I SUMERI E L’AMORE LIBERO

Accanto all’amore “asservito” ai bisogni della società, trovò spazio ciò che è chiamato l’amore “libero”, liberamente praticato da ciascuno per il proprio piacere. Affinché non producesse danno ad alcuno, questa forma di amore era assicurata da “specialisti” che esercitavano quella che oggi chiameremmo prostituzione. Visti i gusti e le concezioni di quell’epoca e di quella regione, secondo cui l’amore non era necessariamente di tipo etero sessuale, questi “impiegati dell’amore libero” erano prostituti dell’uno e dell’altro sesso. Ma, a differenza di quanto accade ai giorni nostri, è molto probabile che la loro funzione sia stata fortemente permeata di religiosità. Non soltanto essi prendevano parte, per la loro funzione, a cerimonie liturgiche, in particolare in alcuni santuari, ma avevano anche per patrona e modella la dea sumerica Inanna, Ishtar in accadico.

Di certo i Sumeri ignoravano molti dei nostri “tabù” relativi al sesso e alle sue pratiche!

(liberamente tratto da “Schiavi degli Dei – L’alba del genere umano”, (c) Drakon edizioni 03/2010)
                           
     

 

 

 

 

 

 

Gli antichi li chiamavano “barche celesti”, …

Gli antichi li chiamavano “barche celesti”, “barche volanti”, “carri splendenti”, “carro di fuoco”, “vimana”, “uccello tonante”, o “Gloria del Signore”; tutti termini, questi, che descrivevano, sia pure con un linguaggio limitato, oggetti capaci di viaggiare nel cielo.

Oggi il termine U.F.O., o O.V.N.I. (Oggetto Volante Non Identificato) in italiano, non è solo un sinonimo di quelle antiche descrizioni, ma viene comunemente associato “esclusivamente” all’origine extraterrestre di tale fenomeno, così come alla stessa origine viene attribuita la nascita del genere umano.

Ma davvero si può affermare che questi oggetti volanti e i loro occupanti provenissero/provengano “esclusivamente” dalle stelle?

Se la risposta fosse negativa, come logica comanda, d’altronde nessuno ha la verità in tasca, allora:
–  le criticità ravvisabili nelle asserzioni messe in campo da chi oggi continua ad alimentare l’ipotesi che va solo ed esclusivamente nell’interpretazione extraterreste del fenomeno, indicherebbero obiettivamente una veduta miope o quanto meno parziale di quanto da loro stessi affermato;
– perché e qual è lo scopo di chi, difendendo quell’idea esclusiva come fosse un indiscutibile “dogma religioso”, spesso “attacca” ferocemente chi espone ipotesi diverse sebbene suffragate e corroborate da documentazioni “non finte”.

La conseguenza di una sana riflessione su tale questione porterebbe ulteriormente a chiedersi, per esempio e non esaustivamente:
– chi furono allora coloro che intervennero geneticamente sull’ homo erectus trasformandolo in homo sapiens, come ci raccontano gli antichi testi sumero-accadici?
(attenzione! La traduzione di Anunna/Anunnaki, testi alla mano, non corrisponde a “coloro che dal cielo scesero sulla terra”! – cfr. Uomini e Dei della Terra, pag. 19 e ss.)
– e ancora, siamo forse vittime di un inganno che si perpetua ai nostri danni, per impedirci di vedere e capire come stanno effettivamente le cose?
– in tutto ciò, “chi ci inzupperebbe il pane”?

Cosa potrebbe celarsi dietro il fenomeno dei dischi volanti?

Diceva Einstein: “La mente è come un paracadute: funziona solo se si apre”.
Già. Perché la realtà supera la fantasia!

Biagio Russo

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Il retaggio perduto delle antiche razze

La nostra non è la prima umanità che popola questo verde e fertile pianeta che è la Terra e probabilmente non sarà neppure l’ultima.
Prima di noi si sono succedute civiltà di cui anche il più pallido ricordo è andato perduto.
Con il tempo, questo potrà accadere anche alla nostra, tuttavia un legame, per quanto labile, continuerà a tenerci tutti uniti.
Le tradizioni legate all’antica religione sostengono che: «Una sola è la razza degli Dei e degli uomini, e da un solo principio ambedue sono scaturite».

Gli Dei, dunque, ci sono affini e così gli Antichi, a tal punto che è in pratica impossibile separare loro da noi, gli uni dagli altri.

A ciascuna razza succedutasi sulla Terra è stato dato un tempo per dominare il pianeta, ossia per conoscere, fino a spingersi su di un piano evolutivo più avanzato.
Poi, una volta raggiunti sviluppo e saggezza sufficienti, le è stato consentito di approdare a un livello di realtà più raffinato, lasciando libero il campo per una umanità nuova, meno evoluta, ma a sua volta pronta per iniziare il proprio cammino di consapevolezza.

Non siamo in grado di conoscere da quante razze siamo stati preceduti, sappiamo soltanto che alcune di esse erano non e pre-umane.
La tradizione parla dei Tuatha de Damnu, dei Tuatha de Danaan e della razza che oggi chiamiamo genericamente degli elementali, cui appartengono elfi e fate.

Il livello dei mondi, delle nuove realtà, cui queste antiche razze sono arrivate, non ci è noto, ma è certamente superiore al nostro attuale.
Sono luoghi di bellezza, magia, mistero, dove regnano colori gioiosi e brillanti.

Qui la vita scorre serena e ogni cosa, anche gli eventi più normali, avviene su di un piano superiore.

Attenzione!  Ciò non esclude la morte che continua a esserci, semplicemente a essa non sono più collegati tristi pensieri, ma il concetto di un momento intermedio nel percorso che conduce al cambio di esistenza, durante il quale, secondo un processo naturale, coscienza e memoria si interrompono.

Tutte le arti e le scienze, l’amore, e persino fare l’amore, risultano più coinvolgenti e affascinanti in queste realtà lontane di quanto lo siano nel nostro mondo.

Il passaggio, la transizione a una diversa realtà è reso possibile dalla magia della mente: chi sa attuarla diventa incorporeo, invisibile e, di conseguenza, svanisce alla percezione terrena. Tornare è certamente possibile, ma è impresa suprema.

Questo metodo di sublime magia si dice appartenga al patrimonio di pochi, vale a dire dei più alti iniziati.

Il percorso per innescare questi passaggi deve essere, ciò malgrado, oggetto di ricerca e costituire motivo di approfondimento, poiché coinvolge gli aspetti più intimi della realtà dell’anima.

È un argomento che non può essere trascritto né trattato con la scrittura, perché lontanissimo dall’essere accettato come mezzo perseguibile dalla normalità delle persone.

Chi intenda intraprendere questo cammino deve accostarsi allo studio del mondo incantato degli elementali, poiché non è solo il più vicino al nostro, ma quello a proposito del quale possediamo ancora alcune conoscenze.

I migliori canali per innescare il contatto sono i raggi lunari, una foresta, una palude silenziosa, la nebbia, la luce di candele e falò, insomma tutte quelle realtà che stanno sul limitare, sulla soglia «fra i mondi».
Stessa chiave posseggono miti e leggende, mentre la pratica delle formule magiche è in grado di modificare corpo e mente per realizzare il passaggio.

Ed Fitch

Il “lascito” di Schiavi degli Dei

Sono passati dieci anni e più dall’uscita del mio primo libro Schiavi degli Dei, pubblicato da Drakon edizioni, e il tempo ormai passato mi permette di guardare con un certo distacco ciò che quel momento ha rappresentato per me.

In questa occasione non farò una disamina di tutto quello che ho intuito attraverso la rigida disciplina che si chiama “indagine etimologica”, ma desidero portarvi all’interno della mia avventura di vita, per rendervi partecipi delle emozioni e delle riflessioni che tale esperienza mi ha riservato.

È stata indubbiamente una pietra miliare fissata nel mio andare, capace di delimitare un “passato” ed un “presente” nel mio pensiero, ciò in cui ho “creduto” prima e ciò che sento “appartenermi” adesso, profondamente.

Il lavoro di costruzione del libro è stato un procedere, prima incerto, quasi sofferto, e poi man mano sempre più convinto, sui frantumi delle mie convinzioni cedute sotto il peso degli innumerevoli dubbi emersi dalla lettura di tanta saggistica sui misteri dell’antichità. Pagine e ipotesi, di cui mi ero nutrito fino a quel momento, chiedevano ormai di essere verificate e cercate altre risposte oltre quell’unica, invariabile “soluzione” diffusa: la creazione e la civiltà dell’uomo sono il risultato di un esperimento extraterrestre.

Arduo e temerario era voler cambiare direzione e avanzare in una strada che già sapevo poco frequentata. Ce l’avrei fatta da solo?

Certo, da solo, perché intorno a me non trovavo chi, con i miei stessi interessi, volesse condividere le mie perplessità. Al contrario, alcune interpretazioni sembravano blindate, quasi dei dogmi a cui tutti, appassionati di quel segmento letterario e addetti ai lavori, si rifacevano passivamente e non sembravano disposti a valutare nient’altro.

Ho compreso quanto lavoro mi attendesse.

La fatica nel reperire strumenti autorevoli e originali, poi, ha messo a dura prova la mia determinazione nel proseguire e nell’andare fino in fondo.

L’aiuto, spesso inatteso e provvidenziale, mi è stato dato con grande generosità quasi esclusivamente da donne: nelle biblioteche, nelle librerie, nelle associazioni, nei musei, nelle università, anche di oltre frontiera. Potrei allungare ancora di molto l’elenco, ma mi fermo qui. Tale casualità assumeva, però, poco a poco i contorni di una prevedibilità: come non domandarsi, ad un certo punto, se tanta disponibilità, tutta femminile, potesse avere un senso più profondo, che andasse più in là dell’aiuto dato per una pura e semplice ricerca storica, condotta oltretutto al di fuori degli schemi convenzionali.

Nell’esaminare i soggetti del peccato originale nell’Antico Testamento penso di aver trovato le mie prime risposte.

Lo studio meticoloso richiesto dall’analisi della figura del “serpente” mi ha rivelato, in primis, quanto fosse distorta l’immagine che ne è arrivata fino a noi. La sua icona, che in tutte le antiche culture è portatrice e simbolo di conoscenza, è stata, ad un certo punto della storia, sovrapposta al male estremo. Una acuta riflessione, quasi una frustata, mi ha spinto allora a chiedermi: il problema è dunque la conoscenza?

Sappiamo che la prima figura disponibile ad accoglierla nella storia dell’umanità, nonostante i divieti, è stata la nostra progenitrice Eva. Lei si lascia convincere che sia cosa buona e vede oltre il velo dell’apparenza. Insieme al suo Adamo apre gli occhi e il cuore a tutto quel panorama nuovo e inimmaginabile che le si squaderna davanti; si sentono nudi e si vergognano della loro condizione non appena diventano consapevoli della loro ignoranza.

Tracciare i contorni di Eva e risalire al suo senso più antico è stato quasi commovente. Ha significato, per me, ridarle voce. Per millenni la nostra cultura ha rigettato l’importanza della donna e l’equilibrio dato dal suo valore accudente e intuitivo. Attraverso di lei, e attraverso l’analisi etimologica del remoto HAWWAH, termine con cui si indica “tutto” il genere femminile e non la sola Eva, la donna torna a essere al centro: essa è madre e custode della camera divina, il luogo della creazione. Non solo. La vita è donna, senza di lei tutto è destinato a spegnersi. Eva però ha pagato il prezzo della sua disponibilità, della sua capacità di dubitare, della sua desiderabilità e bellezza e, per aver scombinato “piani” non proprio “divini”, ancora oggi è costretta a subire, umiliarsi, a “velarsi”. Qualcosa è andato storto in quel “progetto” antico che negava agli uomini la conoscenza del bene e del male? E persino l’accesso all’albero della vita?

Eva e il “serpente”, insieme, risultano essere dunque i primi responsabili della disobbedienza e della diffusione della conoscenza. È stato questo il loro peccato?

Il messaggio derivato dalla ricerca è stato potente. In quel momento credo di aver compreso come mai tante donne – inconsapevolmente? – abbiano contribuito, e continuino tuttora, a farlo emergere.

La conoscenza è da sempre questione delicata: chi la detiene ha potere sugli altri, lo sappiamo tutti. Quello che “forse” non sappiamo è chi sia a possederla nella sua forma più piena e ad usarla nelle sue forme più subdole.

La letteratura sumera, depositaria di conoscenze straordinarie, fonte originale di tante mie ricerche, mi ha dato indicazioni che non lasciano molto spazio all’interpretazione e hanno fatto cadere, a mio avviso, la sola ipotesi extraterrestre responsabile delle questioni umane, nonché aperto le porte a possibilità decisamente più inquietanti. Questi, però, sono già argomenti del mio secondo libro Uomini e Dei della Terra, dove si delinea con spiccata chiarezza il mio pensiero “presente”, maturato in virtù dei presupposti elaborati durante la stesura di Schiavi degli Dei, che ha passato il testimone.

Biagio Russo

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Noi, chi siamo?

Perché la nostra presenza, qui, ora?
Il perché della nostra esistenza, per chi…?
Tante e altre sono le domande sulla nostra provenienza che spesso ci poniamo senza trovare una spiegazione o delle risposte chiare che non siano le solite fornite dall’antropologia, mediante la teoria darwiniana o dalle religioni.
Noi… chi siamo?
È la domanda che sintetizza la nostra voglia di sapere.
Ma non c’è sapere se non c’è Conoscenza, la conoscenza storica della nostra esistenza, quella che si ottiene cercando, scavando, analizzando, verificando, con tenacia, passione e determinazione. Ma soprattutto predisponendoci senza preconcetti o retaggi alle risposte che si troveranno sul sentiero della ricerca, nella consapevolezza che per comprendere il presente, “Noi… chi siamo?”, dobbiamo conoscere il passato, “Da dove veniamo”, quel passato fin troppe volte ammantato dal velo del segreto o volutamente fatto cadere nell’oblio.
Sempre e ancora con la consapevolezza che quel “velo” non è inamovibile e l’oblio, sebbene sia una dimenticanza duratura, non lo è per sempre, è un fenomeno che si può invertire. Sempre che lo si voglia…

Come nel mio precedente libro “Schiavi degli Dei”, anche questa volta, in “Uomini e Dei della Terra”, il mio intento è guidare il lettore alla ricerca delle verità perdute. Come? Mediante una gran mole di documentazione inedita da me accumulata durante le mie personali ricerche che, ormai, si protraggono da oltre 45 anni.
Avremo modo di viaggiare nel passato per tornare al presente con una nuova luce, dopo aver raccolto i nostri reperti storici, le nostre testimonianze antiche e fatte le nostre scoperte.
Solo così potremo guardare al futuro, “Dove andiamo”, ma soprattutto “Dove possiamo andare”…
Perché vedremo che dipende solo ed esclusivamente da noi!
Un percorso affascinante, accrescitivo e dai contenuti mai esposti prima.

Biagio Russo

 

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La verità

“Non troverai mai la verità, se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspettavi di trovare.”
(Eraclito)

Non mi stancherò mai di dirlo, certamente non avremo mai la certezza della verità, nessuno la possiede, ma già scartare tutto quello che non lo è costituisce di sicuro un grande passo avanti!
(Biagio Russo)

 

 

 

 

 

 

 

 

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Anunnaki: coloro che dal cielo sono venuti sulla Terra?

I Sumeri li definivano dingir, “Signori o Superiori” appartenenti ad una civiltà altamente progredita. Da costoro ricevettero tutto il loro sapere, ma soprattutto la vita, come hanno lasciato scritto nei loro “libri d’argilla” in scrittura cuneiforme.

Sebbene gli assiriologi ritenessero e ritengano tuttora corretto tradurre dingir con “dio” o “divinità”, tale termine aveva un significato molto meno religioso. Le “teste nere” (sag-gi o sag-ge in sumerico), come i Sumeri amavano definirsi probabilmente per sottolineare una loro differenza somatica rispetto ai dingir, affermavano di essere stati creati da queste entità per servirli e riverirli.
Gli Anunnaki parrebbero dunque essere i creatori dell’uomo.

Nel percorso di studi e ricerche che ho portato avanti negli anni con l’intento di dare risposta ai tanti interrogativi circa l’origine del genere umano, ho letto e raccolto così tanto materiale documentale da dover necessariamente individuare un obiettivo verso cui convogliare le mie energie e conoscenze, tenendo ben saldo il timone di una severa metodologia investigativa, altrimenti il perdersi in approfondimenti non immediatamente utili al tema centrale avrebbe potuto generare due ordini di problemi: la perdita del sentiero da seguire e l’appesantimento della trattazione.
Fortunatamente, gli indizi che man mano scaturivano dalle mie indagini indicavano con chiarezza la via da percorrere, scongiurando dunque il rischio di superflue digressioni.
Tuttavia, una volta chiusa l’inchiesta principale trattata nel mio libro “Schiavi degli Dei – l’alba del genere umano” (Drakon edizioni), riprendendo le mie ricerche non ho potuto fare a meno di tornare sulle tante attività che avevo fino ad allora tralasciato, come raccogliere maggiori informazioni sulla casta dominante del Pantheon sumero, gli Anunnaki.

Figure da me precedentemente meno indagate degli Igi.gi/Igi.gu, quali sono le divinità di rango inferiore, gli Anunnaki  sono stati subito posti al centro del mio interesse: desideravo comprendere a fondo chi fossero effettivamente costoro coi quali gli Igi.gi/Igi.gu si relazionavano gerarchicamente, rendendo conto dei propri compiti sia nelle funzioni di “controllori” del genere umano che in quelle di portatori di messaggi “divini” agli uomini.
Innanzitutto, prima di affrontare il tema del significato della parola “Anunnaki”, è bene fugare ogni dubbio sulla sua corretta scrittura.
In molti testi accademici, che riportavano traduzioni dalle tavolette sumere ed accadiche, ho trovato il logogramma in questione trascritto sempre allo stesso modo: Anunnaki.
Ma la testimonianza definitiva ed incontestabile ci è fornita da chi la lingua sumera la sapeva leggere, parlare e, quel che più importa al nostro scopo, scrivere, ovvero Hammurabi, re di Babilonia vissuto tra il XIX e XVIII secolo a.C.
Sulla famosa Stele di Hammurabi conservata al Museo del Louvre di Parigi, all’altezza della seconda riga della prima colonna del Prologo del Codice troviamo ancora scritto Anunnaki.

Nel dettaglio, il termine risulta così sillabato: A.nun.na.ki.

Proseguendo nell’analisi, il termine ‘Anunnaki’ significherebbe – letteralmente – “coloro che dal cielo scesero sulla Terra”. Questa è l’affermazione che si trova nel web, nei media e nella moltitudine di testi di saggistica che trattano l’argomento. Essendo tale definizione così diffusa, sì è portati a pensare che essa sia giusta. Ma è davvero così?
La suddetta traduzione, che in verità è una interpretazione del suo autore, è da attribuirsi allo studioso ormai scomparso Zecharia Sitchin, al quale va sicuramente attribuito il merito di aver fatto conoscere con i suoi libri la storia dell’uomo raccontata dai Sumeri, ma, alla luce delle nostre attuali conoscenze, allo stesso vanno ascritte “responsabilità” indiscusse, sebbene così evidenti.
Molti, però, ritengono il suo lavoro indiscutibile, altri lo criticano ritenendolo artefatto o erroneo, ma va detto doverosamente che Sitchin, grazie alle sue pluriennali ricerche e all’esposizione delle sue tesi, obiettivamente discutibili come tutte le teorie, ha dato risposta a diversi enigmi riguardanti la genesi dell’uomo, così come va altrettanto detto doverosamente che certamente non è stato il primo, anzi. Oltretutto, Sitchin ha lasciato alcune “zone d’ombra”, questioni anche molto importanti che invece sono state sorvolate, non approfondite, lasciate prive di quei riscontri oggettivi necessari sia alla loro comprensione che alla loro soluzione.
Proprio in queste zone d’ombra si sono focalizzate le mie ultime ricerche e approfondimenti, avvalendomi di dizionari e traduzioni realizzate dagli autorevoli padri dell’assiriologia e sumerologia decenni prima che Sitchin trattasse di quegli stessi argomenti.
Non soddisfatto della traduzione, anzi interpretazione, di “Anunnaki” presentata dal saggista azero, ho condotto le mie personali indagini, i cui risultati sono esposti in quest’articolo, per scoprirne l’effettivo significato; per tale scopo, ho fatto uso di testi accademici quali documenti di riferimento.
Nel sottolineare il mio aver utilizzato materiale “ufficiale” vorrei, in primo luogo, evidenziare agli accademici e agli accaniti sostenitori dell’ortodossia, qualora ce ne fosse bisogno, che molte delle “stranezze” contenute nella letteratura sumero-accadica (e non solo in quella) sono state tradotte dai loro contemporanei o dai loro esimi predecessori e che risulta pertanto poco coerente sminuirle quando vengono usate nella loro misura letterale, anziché mitologica; in secondo luogo, vorrei mostrare a chi avanza pregiudizi sul lavoro degli accademici che i saggisti ricercatori indipendenti non dovrebbero prescindere sempre dall’ortodossia per avvalorare le proprie tesi, poiché spesso ciò che è stato formulato in ambito accademico è già di per sé completo, e modifiche o integrazioni forzate alla documentazione “ufficiale” possono risultare inutili o, ancora peggio, nascondere la realtà dei fatti.

Consultando, dunque, tre diversi testi, che potremmo definire “dizionari” di sumero e accadico, redatti tra la fine del 1800 e il 1950, ho sempre riscontrato gli stessi significati letterali. Avendo tuttavia ancora qualche titubanza, ho ritenuto utile consultare un ulteriore testo universitario, stavolta di recente pubblicazione (2007), che ha confermato pienamente i precedenti risultati, riassumibili in queste quattro possibilità:

1) L’acqua più importante/principale/migliore della Terra;
2) La prole più importante/principale/migliore della Terra;
3) Il padre (in questo caso “i padri”) più importante/principale/migliore della Terra;
4) Il liquido seminale più importante/principale/migliore della Terra.

In tutta onestà, non so dire quale di queste definizioni sia quella più giusta o corretta, probabilmente, prese singolarmente, lo sono tutte se inserite in un contesto di riferimento coerente.
Comunque, oltre ogni ragionevole dubbio, risulta evidente che Anunnaki non significhi “coloro che dal cielo scesero sulla Terra”.
Sebbene il logogramma esprima quattro diversi significati, essi presentano un denominatore comune: “della Terra”. Della Terra!
Un risultato che di certo farà discutere ed aprirà, altrettanto sicuramente, nuovi scenari dai contenuti forse anche inquietanti sulla figura degli A.nun.na.ki, un gruppo composto da esseri che i Sumeri non hanno mai indicato come “coloro che dal cielo sono scesi sulla terra”. Quella degli Anunnaki era senza dubbio una civiltà tecnologicamente avanzata, che aveva conoscenze e mezzi di navigazione marittima, aerea ed extra-planetaria, come ci descrivono magnificamente l’antica letteratura religiosa indiana e le successive citazioni bibliche; una civiltà che si spostava nei territori “controllati” per mezzo di “barche del cielo” (ma-an-na in lingua sumera) e che possiamo quindi coerentemente supporre come provenienti da un’ altra regione “della Terra”, non esclusivamente da un altro pianeta che non fosse la Terra.
La traduzione letterale, come abbiamo visto, ci ha fornito una risposta che produce nuove domande. Ad esempio: perché, sebbene i testi utilizzati per giungere al significato letterale di A.nun.na.ki siano a disposizione di studiosi e ricercatori da oltre 100 anni, nessuno pare essersi preso il disturbo di consultarli? Qualora, invece, tali documenti fossero stati consultati, perché nessuno, compreso lo stesso Sitchin, ne ha mai rivelato il significato originario?
Per quale motivo non lo ha fatto?
Non lo ha ritenuto necessario o non lo ha ritenuto opportuno?
La cosa, ovviamente, deve far riflettere, soprattutto alla luce del fatto che la manipolazione, per finalità diverse che non vanno assolutamente scartate, è decisamente dietro l’angolo!
In conclusione, allora, chi sono gli A.nun.na.ki?
Basta riflettere, guardarsi introno, e tutto appare chiaro.
Prossimamente, vedremo il significato letterale dell’origine del termine A.nun.na.ki.  cioè A.NUN.NA in lingua sumerica.
A presto.

 

© 2009, 2010, 2016 Biagio Russo
(cfr. “Uomini e Dei della Terra”)