Tutti gli esseri umani entrano nello stato di “fuori dal corpo” durante il sonno.
Andare a dormire, crollare addormentati, assopirsi è semplicemente un processo di andare fuori fase rispetto allo spazio-tempo fisico; quando ciò accade, i vari stadi si spiegano se visti da tale prospettiva.
Il sonno profondo o “delta” rappresenta il punto in cui la coscienza è completamente distaccata dalla realtà fisica, di conseguenza il corpo fisico opera su base autonoma con “sistemi di allerta” per richiamare la coscienza se necessario; una forte vibrazione, uno scatto o una contrazione muscolare del corpo è la conseguenza del “rapido rientro”.
Il fatto che la maggior parte delle coscienze umane non ricordi o non riesca a richiamare alla memoria queste escursioni notturne è una prova insufficiente per poter affermare che non si verifichino.
Credo che sia opportuno portare alla Luce (LUX-FERRE) il chiaro e vero significato di due vocaboli molto importanti: immaginazione e intuizione.
Immaginazione è uguale a intuizione?
La risposta è decisamente negativa! Infatti:
IMMAGINARE, dal latino IMAGINARI, da IMAGO, significa “configurare”, cioè “modellare”, “dare forma”, “dare figura” ad immagini nella propria mente; ideare, fingere, supporre;
INTUIRE deriva dal latino INTUERI, composto dalla particella IN, “dentro”, e TUERI, “guardare”.
Quindi, “vedere dentro”, “guardare dentro attentamente” (Socrate docet).
Pertanto, nel fare ricerca, in qualunque campo essa si svolga, si può percorrere:
una via segnata da un’idea, da una supposizione o da una finzione, cioè “fare finta che sia”, peggior approccio, quest’ultimo, perché manipolativo cioè tendente a “modellare” i fatti a sostegno della propria idea figurativa; tecnica persuasiva utilizzata nella comunicazione/educazione dei bambini e, quindi, estranea al giusto e corretto rapporto tra adulti previsto e ben configurato dalla PNL;
un sentiero illuminato dal “sentire” e “vedere” ciò che è dentro di noi, da seguire con determinazione ma, nello stesso tempo, con umiltà, con verifiche e controlli lungo tutto il percorso.
Ovviamente ognuno è libero di fare il percorso che vuole, io rispetto chi segue una via diversa dalla mia, ma questo non significa che io la condivida, men che meno che la convalidi: sarei falso e incoerente, in disarmonia con me stesso.
Quindi e in estrema sintesi, in relazione alle mie pubblicazioni e agli argomenti da me trattati, mi rendo disponibile, con piacere, a dialogare e dibatterne i contenuti, ma solo se frutti di un percorso generato dalle intuizioni e non dalle immaginazioni.
Il 1° maggio nasce il 20 luglio 1889, a Parigi.
Una festa laica di cui a lanciare l’idea fu il congresso della Seconda Internazionale, riunitosi in quei giorni nella capitale francese.
Si trattò di una scelta simbolica, una commemorazione. Infatti, tre anni prima, il 1° maggio 1886, una grande manifestazione operaia svoltasi a Chicago, era stata repressa nel sangue.
Ma, per avvicinare alle celebrazioni il mondo cattolico, nel 1955, in Italia, Papa Pio XII istituì anche la festa di San Giuseppe Lavoratore, da festeggiare, ovviamente, lo stesso giorno, il 1° maggio; si trattò di un’azione mirata e voluta per “richiamare” le folle alla venerazione del sacro e tralasciare il profano.
Che la Chiesa sia riuscita o meno e se tanto o poco nel suo intento di governare i popoli (potere temporale), non sta a me dirlo: io sono un ”maniaco ricercatore delle origini”.
Pertanto, è a tal proposito che condivido con voi quanto è di mia conoscenza, in merito alle origini della festa del 1° maggio.
La ricorrenza in questione ha origini molto antiche: risalgono ai rituali celtici praticati dai druidi nell’antica Irlanda e in Gallia.
Le fonti storiche gaeliche ci dicono che i druidi, sacerdoti delle antiche popolazioni celtiche, accendevano dei falò sulla cima dei colli e vi facevano passare attraverso il bestiame del villaggio sia in segno di buon augurio che per purificarlo. Anche le persone attraversavano i fuochi, allo stesso scopo.
Questa festività prende il nome di Beltane, letteralmente “fuoco di Bel”, ed è la festa della divinità panceltica omonima il cui significato, in antico irlandese, è “fuoco luminoso”.
Questa antica tradizione trova ancora applicazione anche in Italia, dove per l’occasione si fanno i cosiddetti “fogheracci”, ma è anche una celebrazione dell’avvento di “Madonna Primavera” onorata, per esempio, ad Assisi: una bellissima festa in costume medievale a cui partecipai tempo fa, conosciuta come “Festa di Calendimaggio”.
Mi fermo qui.
Ovviamente, dati i riferimenti che ho esposto sinteticamente, chi vorrà potrà approfondire l’argomento e “scoprire” come tale festa sia una celebrazione di alto rispetto della natura che ci circonda, un rispetto che tutti dovrebbero riapprendere, un rispetto che non è né di destra, né di sinistra, né di centro, perché la Natura è universale.
Accanto all’amore “asservito” ai bisogni della società, trovò spazio ciò che è chiamato l’amore “libero”, liberamente praticato da ciascuno per il proprio piacere. Affinché non producesse danno ad alcuno, questa forma di amore era assicurata da “specialisti” che esercitavano quella che oggi chiameremmo prostituzione. Visti i gusti e le concezioni di quell’epoca e di quella regione, secondo cui l’amore non era necessariamente di tipo etero sessuale, questi “impiegati dell’amore libero” erano prostituti dell’uno e dell’altro sesso. Ma, a differenza di quanto accade ai giorni nostri, è molto probabile che la loro funzione sia stata fortemente permeata di religiosità. Non soltanto essi prendevano parte, per la loro funzione, a cerimonie liturgiche, in particolare in alcuni santuari, ma avevano anche per patrona e modella la dea sumerica Inanna, Ishtar in accadico.
Di certo i Sumeri ignoravano molti dei nostri “tabù” relativi al sesso e alle sue pratiche!
(liberamente tratto da “Schiavi degli Dei – L’alba del genere umano”, (c) Drakon edizioni 03/2010)
Una delle più importanti figure bibliche offesa, insultata, colpevolizzata ed accusata di essere l’attore principe delle peggiori malefatte narrate nell’Antico Testamento, non ultimo, ovviamente essere l’esecutore della “tentazione di Eva”. La creazione di questo rettile e la sua esistenza è sicuramente ambigua. Ce lo conferma, se ce ne fosse bisogno, il passo della Genesi in cui troviamo scritto:
“Il Serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio.”
Infatti , l’astuzia va intesa come apprezzamento o come denuncia di un soggetto dal quale bisogna prendere le distanze e non fidarsi?
Un dubbio che la religione cristiana, però, non si pone dal momento che indica il Serpente come la figura rappresentante per antonomasia “il male e la tentazione”. Ma per un ricercatore, che si pone continue domande, il dubbio rimane- un dubbio che, a ben vedere, è alimentato fortemente dal fatto che certa terminologia e relativa attribuzione di ruoli ha origini non antiche, ma antichissime. Si tratta di migliaia di anni in cui l’icona di questo rettile ha certamente subito modifiche, errate traduzioni, nonché opportune manipolazioni. Sulle varie interpretazioni di questa figura biblica, talvolta anche speculative, chi può dire quale sia quella più giusta, obiettiva o imparziale? Potremmo stare qui a parlarne ore ed ore senza soluzione; arricchiremmo le nostre conoscenze in materia, ma senza una risposta certa su chi o che cosa fosse questo tanto vituperato Serpente. Ma io mi ritengo un convinto assertore della validità delle attribuzioni letterali originali dei termini, nelle varie culture, nei vari territori e, quel che per me più conta, più antiche possibili. Al momento, “il più antico possibile” è nella letteratura sumera, la letteratura di quella che, secondo le nostre attuali conoscenze, rappresenta la prima civiltà apparsa sulla Terra, sebbene quasi coeva con civiltà confinanti come quella Egiziana e quella Indiana.
Per i Sumeri il Serpente era il detentore dei segreti, rappresentava la conoscenza e la potenza benefica. Se andiamo a vedere come il Serpente veniva considerato anche nelle altre culture e religioni, scopriamo che nell’Antica Grecia rappresentava la rinascita e la rigenerazione: famoso è il simbolo delle arti sanitarie che lo vede attorcigliato al bastone di Asclepio e similmente il drago era considerato creatura benefica e portatore di conoscenza. Per gli Antichi Egizi rappresentava la potenza del Dio Ra che proteggeva il Faraone dai suoi nemici, era ornamento regale e veniva portato miniaturizzato sulla fronte. Nell’induismo esso rappresenta la Dea Kundalini, la Divina Energia Cosmica. Era e lo è tuttora nella cultura cinese, quale portatore di buona fortuna (è nota la rilevanza religiosa del drago). E’ figura positiva nel Buddismo, quale protettore di Buddha e lo è anche nel Mitraismo persiano. Nelle antiche culture e religioni mesoamericane è noto il Serpente piumato portatore di civiltà e conoscenza, ecc. ecc.
Quindi, nel complesso il Serpente era, ed in alcuni casi lo è ancora, una figura positiva in netto contrasto con la dottrina cristiana, quella dottrina che in un preciso passo del Nuovo Testamento, nell’Apocalisse di Giovanni, ci offre un quadro evidente della genesi iconografica del Serpente e della evoluzione subita nei secoli se non nei millenni: il dragone, il Serpente antico, il diavolo, Satana […] Purtroppo evidenza non è sempre sinonimo di chiarezza, men che meno in questo caso in cui ci troviamo di fronte ad un testo, come quello appena citato, che tra i vari libri del Nuovo Testamento è considerato il più difficile da interpretare in quanto si ritiene sia stato scritto con un linguaggio simbolico.
In questo caso, un ottimo strumento di indagine è lo studio etimologico delle parole che ci porta ancora una volta, ma in maniera più mirata, alle origini dei termini compresi quelli che compongono la frase in questione. Allora vediamo che “dragone” proviene dal verbo greco derkomai, “osservare, guardare, vedere”, pertanto in origine era “guardiano” e che “Serpente antico”, figura biblica dell’Antico Testamento, deriva dall’ebraico nhsh, “Serpente”, che etimologicamente sta per “colui che diligentemente osserva”; il significato di “diavolo”, diàbolos nella Bibbia ellenica dei 70, non va oltre “calunniatore”; infine “satana”, dalla radice verbale ebraica sâtan, sempre nell’Antico Testamento, viene utilizzato esclusivamente per indicare “un nemico, un avversario, un ostacolatore”.
In sintesi e dopo questo breve percorso di ricerca delle origini, possiamo dare dell’icona Serpente una nuova definizione:
originariamente apprezzato portatore di conoscenza e benessere sia spirituale che fisico, illuminante e protettivo, guardiano diligente osservatore trasformatosi nel tempo in accusatore, calunniatore ed ostacolatore.
Definizione chiara, direi anche soddisfacente, soprattutto documenta e non soggetta a sfumature di interpretazione, ma non ancora completa. Infatti, è molto chiaro che il Serpente fosse un guardiano e diligente osservatore, ma di chi o di che cosa? Accusatore, calunniatore ed ostacolatore di chi o di che cosa?
Come se non bastasse, il brano dell’Apocalisse in questione continua e termina con l’affermazione “… e lo incatenò per 1000 anni”. Si tratta della condanna ricevuta dal Serpente a seguito della sua trasformazione o c’è qualcosa di più, di molto grave?
Le Storie di Ricerca alla finestra di Schiavi degli Dei
Nel mio “viaggio verso la conoscenza”, mi sono imbattuto in una moltitudine di documenti antichi, testi apocrifi o testi storici dimenticati.
Tutti molto interessanti, ma non sempre strettamente attinenti allo scopo della mia ricerca sulle origini del genere umano, tanto da essere esclusi dalla composizione del libro “Schiavi degli Dei”.
Tuttavia, sicuro della loro valenza storica, è mia intenzione presentarne alcuni in questa pagina.
Per non appesantirne la lettura, ho suddiviso il documento/racconto in quattro parti.
Qui, al termine della Parte I, troverete la nuova Parte II, le altre due parti seguiranno prossimamente.
Buona lettura
Chi era Diodoro Siculo
Diodoro Siculo fu uno storico greco antico, nato nel 90 a.C., autore di una monumentale storia universale che prese il nome di “Biblioteca storica”.
Egli, per la redazione della sua opera, raccolse la documentazione necessaria effettuando, tra l’altro, una serie di viaggi “di studio” finalizzati al reperimento di fonti (in primo luogo scritte, ma anche orali) e innanzi tutto (a suo dire) atti ad effettuare delle verifiche autoptiche.
Di seguito alcuni abstracts.
Biblioteca storica – Racconto n. 1 – Parte I
[…] “A proposito, invece, dell’isola che è stata scoperta nell’Oceano a meridione, e delle cose straordinarie che si dicono su di essa, cercheremo di discorrere sinteticamente, dopo aver esposto prima, con precisione, le ragioni della scoperta.
Giambulo fin da ragazzo aveva coltivato con entusiasmo la propria educazione e dopo la morte del padre, che era mercante, anch’egli si diede alla mercatura; inoltratosi in quella zona dell’Arabia che produce aromi, fu preso con i compagni di viaggio da certi briganti. Ora, dapprima con uno di quelli insieme ai quali era stato catturato fu designato pastore, più tardi, però, fu preda di certi banditi etiopi con il compagno, e condotto via, alla zona marittima dell’Etiopia.
Costoro vennero rapiti perché appartenevano a un altro popolo, per purificare il paese: infatti, questa era l’usanza degli Etiopi che vi abitavano, tramandata da tempi antichi, e sanzionata da responsi oracolari degli dei, per venti generazioni, seicento anni (essendo una generazione calcolata della durata di trent’anni).
Mentre la purificazione veniva compiuta dai due uomini, era stata costruita per loro una barchetta, proporzionata per dimensioni, forte abbastanza da sopportare le tempeste in mare e che poteva facilmente essere portata a remi da due persone; dopo avervi messo dentro cibo per due uomini sufficiente per sei mesi, e averveli fatti salire, ingiunsero loro di prendere il largo secondo il responso, ordinando loro di navigare verso meridione.
Dissero loro che sarebbero giunti a un’isola prospera e presso uomini amabili, dove sarebbero vissuti beatamente; ugualmente – affermarono – anche il proprio popolo, se quelli mandati fossero giunti sani e salvi sull’isola, avrebbe goduto per seicento anni di pace e di una vita prospera sotto ogni aspetto; ma se, atterriti dalla vastità del mare aperto, avessero navigato indietro, sarebbero incappati nelle massime punizioni come empi e corruttori dell’intero popolo.
Gli Etiopi, dunque – affermano – tennero una grande adunanza solenne sul mare, e dopo aver compiuto sacrifici magnifici, incoronarono quelli che dovevano cercare l’isola e purificare il loro popolo, e li inviarono via.
Essi, dopo aver navigato per lungo tratto in mare aperto ed essere rimasti esposti per quattro mesi alle tempeste, furono portati all’isola del presagio, che era di forma circolare, e con un perimetro di circa cinquemila stadi.
Ma, quando erano ormai vicini all’isola, alcuni dei nativi, fattisi loro incontro, tirarono a terra lo scafo; gli abitanti dell’isola, accorsi, si meravigliarono del fatto che degli stranieri vi fossero approdati, però si comportarono amabilmente e condivisero con loro quanto di utile offriva il paese.
Gli abitanti dell’isola erano molto diversi da quelli della nostra parte del mondo abitato, per caratteristiche fisiche e per modo di vivere; infatti, erano tutti simili fisicamente, e in altezza superavano i quattro cubiti, però le loro ossa potevano curvarsi fino a un certo punto, e di nuovo raddrizzarsi, come le parti nervose.
Erano, nel fisico, eccezionalmente delicati; tuttavia, molto più vigorosi degli uomini delle nostre parti. Infatti, quando afferravano un oggetto con le mani, nessuno era in grado di toglierlo dalla presa delle loro dita. Non avevano peli assolutamente in nessuna parte del corpo, eccetto che sulla testa e tranne che sopracciglia e ciglia, e ancora, sul mento, mentre le altre parti del corpo erano così glabre che non vi si vedeva la minima peluria.
Erano avvenenti per la loro bellezza, e ben proporzionati nella costituzione fisica. Le aperture delle orecchie erano molto più ampie delle nostre e le parti sporgenti sviluppate in modo da servire da valvole di chiusura.
Biblioteca storica – Racconto n. 1 – Parte II
E per quanto riguarda la lingua, avevano una peculiarità, in parte naturalmente congenita, in parte risultato di un’operazione fatta intenzionalmente. Infatti avevano la lingua doppia per un certo tratto, ed essi ne suddividevano ulteriormente la parte interna cosicché la lingua era doppia fino alla radice.
E perciò erano molto versati nei linguaggi, poiché non soltanto imitavano ogni lingua umana articolata, ma anche i vari canti degli uccelli, e in generale riproducevano ogni particolarità dei suoni; ma, cosa più straordinaria di tutte, conversavano perfettamente in contemporanea con due persone che avessero incontrato, rispondendo a domande e discorrendo in modo pertinente delle circostanze del momento; infatti, con una sezione della lingua parlavano con una persona, con l’altra allo stesso modo con la seconda. Il clima era estremamente temperato presso di loro, in quanto abitavano all’equatore, e non soffrivano né caldo né freddo; e i frutti maturavano presso di loro per l’anno intero, come afferma anche il poeta:
«La pera invecchia sulla pera, la mela sulla mela, sull’uva l’uva, il fico sul fico».
Presso di loro il giorno è sempre pari alla notte, e a mezzogiorno presso di loro non c’è ombra per niente, per il fatto che il sole è allo zenith.
Essi vivono divisi in gruppi organizzati politicamente e secondo la parentela, riunendosi i parenti in non più di quattrocento; costoro trascorrono l’esistenza all’aperto, dal momento che il paese possiede molte cose per il loro sostentamento; infatti, per la buona qualità del suolo dell’isola e per la mitezza del clima gli alimenti crescono spontaneamente più che a sufficienza.
Cresce, infatti, presso di loro, in gran quantità una canna, la quale produce un frutto in abbondanza, che ha qualche somiglianza con le veccie bianche. Ora, raccoltolo, lo immergono in acqua calda, finché non raggiunga le dimensioni di un uovo di colombo; quindi lo schiacciano e lo tritano, e con mani esperte plasmano pani, che si mangiano cotti e che sono eccellenti per la loro dolcezza.’
Ci sono anche sorgenti abbondanti, alcune d’acqua calda, ben adatte per farvi il bagno e per togliere la stanchezza, altre d’acqua fredda, eccellenti per la loro dolcezza, che possono giovare alla salute. Presso di loro si cura ogni ramo della conoscenza, soprattutto l’astrologia.
Ed essi usano lettere dell’alfabeto, che sono ventotto di numero secondo il valore dei suoni che rappresentano, ma i segni sono solo sette, ciascuno dei quali si può formare in quattro modi diversi. Scrivono le righe non orizzontalmente, ma dall’alto in basso, su linee rette. Gli uomini sono eccezionalmente longevi, vivendo fino a centocinquant’anni e per lo più senza malattie.
Chi è storpio o, in generale, ha qualche menomazione fisica, lo costringono a togliersi la vita secondo una legge severa. È loro usanza vivere per un numero di anni determinato e, dopo aver compiuto questo periodo di tempo, di propria spontanea volontà si uccidono, dandosi una morte strana. Infatti presso di loro cresce un’erba, per effetto della quale uno, quando vi si metta a giacere sopra, senz’accorgersene, dolcemente, cade addormentato e muore.
Biblioteca storica – Racconto n. 1 – Parte III
Le donne non le sposano, ma le tengono in comune, e i figli così nati, allevandoli come se fossero di tutti, li amano tutti alla pari; e quando ancora non parlano, i fanciulli spesso cambiano nutrice, affinché le madri non riconoscano i propri. Perciò, dal momento che presso di loro non c’è alcuna rivalità, vivono sempre senza conoscere lotte intestine, e fanno sempre grandissimo conto della concordia. Presso di loro vi sono anche animali di piccole dimensioni, ma straordinari per la natura del corpo e per il potere del loro sangue; essi sono di forma tondeggiante e hanno qualche somiglianza con le testuggini, ma in superficie sono segnati da due linee giallastre in diagonale, e a ognuna delle estremità hanno un occhio e una bocca.
E perciò, pur guardando con quattro occhi e usando altrettante bocche, raccolgono il cibo in una sola gola, e il nutrimento inghiottito attraverso di essa confluisce tutto quanto in un solo stomaco; ugualmente i visceri e tutti quanti gli altri organi interni li hanno unici, mentre sotto, intorno alla circonferenza, ci sono molti piedi, con i quali possono camminare nella direzione che desiderano.
Il sangue di questo animale ha un potere mirabile; infatti incolla immediatamente il corpo di ogni essere vivente che sia stato tagliato, e anche se per caso è stata tagliata via una mano o qualcosa di simile, con esso la si incolla, se il taglio è recente, e così anche le altre membra del corpo che non appartengano ai punti importanti e vitali.
Ogni gruppo di persone alleva un uccello assai grande, di una particolare specie, e con questo fanno delle prove per vedere quale disposizione di spirito abbiano i fanciulli, quando ancora non parlano. Infatti, li mettono sopra questi animali e quando gli uccelli volano, i bambini che resistono al trasporto per aria, li allevano, mentre quelli che vengono colti da nausea e sono pieni di sbigottimento, li abbandonano, in quanto destinati a non vivere a lungo, e, per il resto, indegni di esser presi in considerazione a causa della loro disposizione di spirito.
È sempre il più anziano di ciascun gruppo ad avere l’autorità, come un re in certo senso, e a costui tutti obbediscono; quando egli, finiti i centocinquantanni, secondo la legge si uccide, gli succede il più anziano dopo di lui.
Il mare intorno all’isola, che è agitato dalle correnti ed è soggetto a grandi riflussi e ad alte maree, è dolce di sapore. Delle costellazioni che appaiono da noi, le Orse e molte altre in generale non sono visibili;
queste isole erano sette, simili per grandezza, a uguale distanza l’una dall’altra, e in tutte si praticavano i medesimi usi e le medesime leggi.
Tutti gli abitanti delle isole, pur avendo abbondanti provviste di ogni cosa che vi cresce spontaneamente, tuttavia non si danno a goderne senza misura, ma perseguono la semplicità e prendono il cibo che è loro sufficiente; la carne e tutti gli altri cibi arrostiti e lessati nell’acqua li preparano loro, mentre sono del tutto ignoranti degli altri intingoli, fatti con arte da cuochi di professione, e dei vari modi di condire.
Nella precedente newsletter ci siamo lasciati con degli interrogativi:
“Cosa nascondeva la leggenda? Semiramide è esistita?”
Ora aggiungiamo: in caso affermativo, come e perché una donna, anche se regina, ha avuto tanta importanza nello spirito degli Antichi al punto di personificare, da sola, tutta la potenza e la gloria di un impero costruito da una lunga stirpe di re maschi?
Ora faremo un percorso di ricerca finalizzato a trovare le risposte a queste domande nella consapevolezza che, qualora le trovassimo, esse genereranno nuove domande e il viaggio continuerà. Come sempre!
Le sue origini
Semiramide è nata ad Ascalon, città fondata dai Filistei sulla costa mediterranea del paese al quale hanno lasciato il loro nome: la Palestina, che è il frutto degli amori consapevoli della dea Derceto, patrona di Ascalon, e di un bel giovane anonimo “che andava ad offrirle un sacrificio”. Presa da vergogna nel partorire, Derceto uccide il suo amante, abbandona il figlio “in un luogo deserto e roccioso”, poi si getta nel lago vicino al tempio, dove si trasforma subito in pesce. Fortunatamente, delle colombe, che nidificavano nei dintorni, si prendono cura del bambino, alcune riscaldandolo con le loro ali altre nutrendolo con imbeccate, prima di latte, poi di formaggio, rubate nelle capanne dei bovari. Dopo un certo tempo, i bovari scoprono quella bambina “di una eccelsa bellezza” e l’affidano al capo degli ovili reali, chiamato Simma, che l’alleva con molta cura e le dà il nome di Semiramide, nome che, secondo Diodoro, è una lieve alterazione della parola “colomba “nella lingua dei Siriani”.
(Jean Bottéro, George Roux – L’Oriente Antico)
Quanti si sono accorti della sovrapposizione della figura di Semiramide con quella di Ishtar?
Secondo Berosso, sacerdote di Marduk, il governo di Semiramide in Assiria avvenne dall’ 810 all’807 a.C.
Sebbene alcuni assiriologi abbiano avanzato dei dubbi su questa reggenza, l’ipotesi rimane a dir poco affascinante; così come “affascinante” e “bellissima” sono due aggettivi che si addicono sia a Semiramide che alla Suprema Ishtar.
Certamente si tratta di un’altra interpretazione della leggenda, che non è affatto incompatibile con quella di Semiramide-Sammuramat regina e guerriera, ma le conferisce una dimensione del tutto diversa. Ecco che, pur comportandosi come un essere umano, Semiramide incarnerebbe la maggiore divinità femminile del pantheon assiro, cioè Ishtar di Ninive.
Ishtar è essenzialmente la dea dell’amore, in particolare dell’amore carnale. Legata, certo, alla riproduzione in quanto ispiratrice e partner dell’uomo nell’atto sessuale, essa si distingue nettamente dalla dea-madre, dalla genitrice, che finirà col soppiantare. È la Donna per eccellenza, bella, desiderabile, «che ama il godimento e la gioia, è piena di seduzione, di fascino e di voluttà», come dice un bellissimo inno, ma anche volubile, perfida e soggetta a violente crisi di collera.
Non ha un vero sposo, tal quale a Semiramide, ma amanti, semi-dei, come Dumuzi-Tammuz, o umili mortali, che lei disprezza e presto respinge (Semiramide li fa sparire) mandandoli agli Inferi o trasformandoli in animali ripugnati.
Rappresentata nuda con i seni sostenuti dalle mani, è circondata da ierodule (prostitute sacre) che portano il suo nome (ishtaritu), e i dintorni dei suoi templi, dove si svolgono riti licenziosi, sono frequentati da cortigiane.
Ishtar, però, riveste anche un altro aspetto, all’apparenza radicalmente opposto: è la dea della guerra, «la coraggiosa», «la dama della battaglia e del combattimento», che cammina in testa agli eserciti, vola «come una rondine» al di sopra della mischia, conduce all’attacco e protegge il re che ha saputo meritare i suoi favori.
Questa Ishtar battagliera è rappresentata generalmente in piedi su un leone o su una leonessa, con l’arco in mano, o mentre brandisce il pugnale a lama curva.
La somiglianza tra questa divinità e la nostra Semiramide salta immediatamente agli occhi. È così che, sposando Semiramide, Ninos ha unito strettamente Ishtar a Ninive, città di cui era il regnante, mentre «la porta di Semiramide» a Babilonia, di cui parla Erodoto nelle sue Storie, non può essere altro che la celebre porta di Ishtar.
Non dimentichiamo, poi, che la dea d’Ascalon, Derceto, madre di Semiramide, non è che una variante locale di Atargatis o Astarte, nomi con i quali per lungo tempo si sono adorate in Fenicia come in Siria-Palestina, sia Ishtar, sia dee semitiche dell’Ovest molto vicine a lei, come Athar o Anat.
Questa storia ci ha già portato molto lontano, troppo lontano forse nel campo della fantasia. La nostra sola giustificazione è che…
…più si prende in considerazione quella diavolessa di Semiramide, più lei diventa affascinante!
(cfr.: Jean Bottéro, George Roux – L’Oriente Antico)
Cinque sillabe, al tempo stesso dolci e stimolanti, amiche della memoria; un nome che pochi ignorano e che, per lo più, evoca una regina d’Oriente, leggendaria e sensuale, vagamente in rapporto con Babilonia e i suoi “giardini pensili”. Ma quanti nostri contemporanei conoscono la leggenda di Semiramide?
E quanti ricordano lo straordinario successo che essa ebbe durante tutta l’Antichità greco-romana, poi, stritolata e irriconoscibile, dal Rinascimento fino alla metà del XIX secolo?
Cosa nascondeva la leggenda? Semiramide è esistita?
Perché il 14 febbraio non sia la solita ricorrenza commerciale!
In questa società moderna in cui la Sophia, l’antichissima Sapienza divina o parte femminile di Dio, è deliberatamente oscurata e ignorantemente considerata profana;
dove ciò che è considerato profano è stato assurdamente convertito in un “nuovo” ed estraneo sacro con lo scopo di governare le masse e condizionare le menti.
In questa società in cui l’attuale sacro è messo al servizio del business senza rispetto o, quanto meno, senza alcuna considerazione delle origini, desidero dare il mio contributo condividendo alcune mie conoscenze che si abbeverano alla fonte delle antiche origini dell’Uomo.
Perché il 14 febbraio sia, come giustamente merita, molto più della solita ricorrenza commerciale…
C’è un luogo, in Italia, dove si incontrano meravigliosamente tre energie di elevato valore significativo:
– Il Drago (nello stemma del Comune) = Conoscenza, Saggezza e Sapienza;
– L’acqua (la Cascata delle Marmore) = la Vita;
– San Valentino (nativo e patrono della città che ne custodisce le spoglie e protettore degli innamorati) = l’Amore;
quindi, è presente la comunione di Conoscenza, Saggezza e Sapienza, la Vita e l’Amore.
Questo luogo è in Umbria, è TERNI.
Una curiosità:
il termine TERNI trae origine dall’antico toponimo Interamna o Interamnia trasmesso attraverso la lingua latina il cui significato è “tra due corsi d’acqua” che, in realtà, come si può evincere dall’immagine qui riprodotta, si tratta di “due fiumi”.
Per la precisione, il nome originale e completo della città risulta essere “Interamna nahar”, dove il termine “nahar” non trova una corrispondenza latina. Tuttavia, tale termine trova più volte riscontro nella Bibbia (cfr. Genesi) laddove indica “fiume” e, per la precisione, in ebraico il termine “nahar” possiede la stessa radice della parola “luce” (nehora).
Il vero fiume quindi è il “fiume di luce”?
E’ una coincidenza che il nome proprio del fiume che attraversa la città di Terni sia “Nera”?
E’ una coincidenza che in lingua accadica “fiume” sia nāru?
E’ una coincidenza che il simil termine di interamna, tra i fiumi, sia “mesopotamia”?
E in fondo… sarà una coincidenza che io, profondamente appassionato delle civiltà mesopotamiche, Sumeri in primis, sia nato proprio a Terni?