Le Storie di Ricerca alla finestra di Schiavi degli Dei
Nel mio “viaggio verso la conoscenza”, mi sono imbattuto in una moltitudine di documenti antichi, testi apocrifi o testi storici dimenticati.
Tutti molto interessanti, ma non sempre strettamente attinenti allo scopo della mia ricerca sulle origini del genere umano, tanto da essere esclusi dalla composizione del libro “Schiavi degli Dei”.
Tuttavia, sicuro della loro valenza storica, è mia intenzione presentarne alcuni in questa pagina.
Per non appesantirne la lettura, ho suddiviso il documento/racconto in quattro parti.
Qui, al termine della Parte III, troverete la nuova ed ultima Parte IV, chi avesse perso la lettura delle puntate precedenti le ha qui di seguito a disposizione.
Buona lettura
Chi era Diodoro Siculo
Diodoro Siculo fu uno storico greco antico, nato nel 90 a.C., autore di una monumentale storia universale che prese il nome di “Biblioteca storica”.
Egli, per la redazione della sua opera, raccolse la documentazione necessaria effettuando, tra l’altro, una serie di viaggi “di studio” finalizzati al reperimento di fonti (in primo luogo scritte, ma anche orali) e innanzi tutto (a suo dire) atti ad effettuare delle verifiche autoptiche.
Di seguito alcuni abstracts.
Biblioteca storica – Racconto n. 1 – Parte I
[…] “A proposito, invece, dell’isola che è stata scoperta nell’Oceano a meridione, e delle cose straordinarie che si dicono su di essa, cercheremo di discorrere sinteticamente, dopo aver esposto prima, con precisione, le ragioni della scoperta.
Giambulo fin da ragazzo aveva coltivato con entusiasmo la propria educazione e dopo la morte del padre, che era mercante, anch’egli si diede alla mercatura; inoltratosi in quella zona dell’Arabia che produce aromi, fu preso con i compagni di viaggio da certi briganti. Ora, dapprima con uno di quelli insieme ai quali era stato catturato fu designato pastore, più tardi, però, fu preda di certi banditi etiopi con il compagno, e condotto via, alla zona marittima dell’Etiopia.
Costoro vennero rapiti perché appartenevano a un altro popolo, per purificare il paese: infatti, questa era l’usanza degli Etiopi che vi abitavano, tramandata da tempi antichi, e sanzionata da responsi oracolari degli dei, per venti generazioni, seicento anni (essendo una generazione calcolata della durata di trent’anni).
Mentre la purificazione veniva compiuta dai due uomini, era stata costruita per loro una barchetta, proporzionata per dimensioni, forte abbastanza da sopportare le tempeste in mare e che poteva facilmente essere portata a remi da due persone; dopo avervi messo dentro cibo per due uomini sufficiente per sei mesi, e averveli fatti salire, ingiunsero loro di prendere il largo secondo il responso, ordinando loro di navigare verso meridione.
Dissero loro che sarebbero giunti a un’isola prospera e presso uomini amabili, dove sarebbero vissuti beatamente; ugualmente – affermarono – anche il proprio popolo, se quelli mandati fossero giunti sani e salvi sull’isola, avrebbe goduto per seicento anni di pace e di una vita prospera sotto ogni aspetto; ma se, atterriti dalla vastità del mare aperto, avessero navigato indietro, sarebbero incappati nelle massime punizioni come empi e corruttori dell’intero popolo.
Gli Etiopi, dunque – affermano – tennero una grande adunanza solenne sul mare, e dopo aver compiuto sacrifici magnifici, incoronarono quelli che dovevano cercare l’isola e purificare il loro popolo, e li inviarono via.
Essi, dopo aver navigato per lungo tratto in mare aperto ed essere rimasti esposti per quattro mesi alle tempeste, furono portati all’isola del presagio, che era di forma circolare, e con un perimetro di circa cinquemila stadi.
Ma, quando erano ormai vicini all’isola, alcuni dei nativi, fattisi loro incontro, tirarono a terra lo scafo; gli abitanti dell’isola, accorsi, si meravigliarono del fatto che degli stranieri vi fossero approdati, però si comportarono amabilmente e condivisero con loro quanto di utile offriva il paese.
Gli abitanti dell’isola erano molto diversi da quelli della nostra parte del mondo abitato, per caratteristiche fisiche e per modo di vivere; infatti, erano tutti simili fisicamente, e in altezza superavano i quattro cubiti, però le loro ossa potevano curvarsi fino a un certo punto, e di nuovo raddrizzarsi, come le parti nervose.
Erano, nel fisico, eccezionalmente delicati; tuttavia, molto più vigorosi degli uomini delle nostre parti. Infatti, quando afferravano un oggetto con le mani, nessuno era in grado di toglierlo dalla presa delle loro dita. Non avevano peli assolutamente in nessuna parte del corpo, eccetto che sulla testa e tranne che sopracciglia e ciglia, e ancora, sul mento, mentre le altre parti del corpo erano così glabre che non vi si vedeva la minima peluria.
Erano avvenenti per la loro bellezza, e ben proporzionati nella costituzione fisica. Le aperture delle orecchie erano molto più ampie delle nostre e le parti sporgenti sviluppate in modo da servire da valvole di chiusura.
Biblioteca storica – Racconto n. 1 – Parte II
E per quanto riguarda la lingua, avevano una peculiarità, in parte naturalmente congenita, in parte risultato di un’operazione fatta intenzionalmente. Infatti avevano la lingua doppia per un certo tratto, ed essi ne suddividevano ulteriormente la parte interna cosicché la lingua era doppia fino alla radice.
E perciò erano molto versati nei linguaggi, poiché non soltanto imitavano ogni lingua umana articolata, ma anche i vari canti degli uccelli, e in generale riproducevano ogni particolarità dei suoni; ma, cosa più straordinaria di tutte, conversavano perfettamente in contemporanea con due persone che avessero incontrato, rispondendo a domande e discorrendo in modo pertinente delle circostanze del momento; infatti, con una sezione della lingua parlavano con una persona, con l’altra allo stesso modo con la seconda. Il clima era estremamente temperato presso di loro, in quanto abitavano all’equatore, e non soffrivano né caldo né freddo; e i frutti maturavano presso di loro per l’anno intero, come afferma anche il poeta:
«La pera invecchia sulla pera, la mela sulla mela, sull’uva l’uva, il fico sul fico».
Presso di loro il giorno è sempre pari alla notte, e a mezzogiorno presso di loro non c’è ombra per niente, per il fatto che il sole è allo zenith.
Essi vivono divisi in gruppi organizzati politicamente e secondo la parentela, riunendosi i parenti in non più di quattrocento; costoro trascorrono l’esistenza all’aperto, dal momento che il paese possiede molte cose per il loro sostentamento; infatti, per la buona qualità del suolo dell’isola e per la mitezza del clima gli alimenti crescono spontaneamente più che a sufficienza.
Cresce, infatti, presso di loro, in gran quantità una canna, la quale produce un frutto in abbondanza, che ha qualche somiglianza con le veccie bianche. Ora, raccoltolo, lo immergono in acqua calda, finché non raggiunga le dimensioni di un uovo di colombo; quindi lo schiacciano e lo tritano, e con mani esperte plasmano pani, che si mangiano cotti e che sono eccellenti per la loro dolcezza.’
Ci sono anche sorgenti abbondanti, alcune d’acqua calda, ben adatte per farvi il bagno e per togliere la stanchezza, altre d’acqua fredda, eccellenti per la loro dolcezza, che possono giovare alla salute. Presso di loro si cura ogni ramo della conoscenza, soprattutto l’astrologia.
Ed essi usano lettere dell’alfabeto, che sono ventotto di numero secondo il valore dei suoni che rappresentano, ma i segni sono solo sette, ciascuno dei quali si può formare in quattro modi diversi. Scrivono le righe non orizzontalmente, ma dall’alto in basso, su linee rette. Gli uomini sono eccezionalmente longevi, vivendo fino a centocinquant’anni e per lo più senza malattie.
Chi è storpio o, in generale, ha qualche menomazione fisica, lo costringono a togliersi la vita secondo una legge severa. È loro usanza vivere per un numero di anni determinato e, dopo aver compiuto questo periodo di tempo, di propria spontanea volontà si uccidono, dandosi una morte strana. Infatti presso di loro cresce un’erba, per effetto della quale uno, quando vi si metta a giacere sopra, senz’accorgersene, dolcemente, cade addormentato e muore.
Biblioteca storica – Racconto n. 1 – Parte III
Le donne non le sposano, ma le tengono in comune, e i figli così nati, allevandoli come se fossero di tutti, li amano tutti alla pari; e quando ancora non parlano, i fanciulli spesso cambiano nutrice, affinché le madri non riconoscano i propri. Perciò, dal momento che presso di loro non c’è alcuna rivalità, vivono sempre senza conoscere lotte intestine, e fanno sempre grandissimo conto della concordia. Presso di loro vi sono anche animali di piccole dimensioni, ma straordinari per la natura del corpo e per il potere del loro sangue; essi sono di forma tondeggiante e hanno qualche somiglianza con le testuggini, ma in superficie sono segnati da due linee giallastre in diagonale, e a ognuna delle estremità hanno un occhio e una bocca.
E perciò, pur guardando con quattro occhi e usando altrettante bocche, raccolgono il cibo in una sola gola, e il nutrimento inghiottito attraverso di essa confluisce tutto quanto in un solo stomaco; ugualmente i visceri e tutti quanti gli altri organi interni li hanno unici, mentre sotto, intorno alla circonferenza, ci sono molti piedi, con i quali possono camminare nella direzione che desiderano.
Il sangue di questo animale ha un potere mirabile; infatti incolla immediatamente il corpo di ogni essere vivente che sia stato tagliato, e anche se per caso è stata tagliata via una mano o qualcosa di simile, con esso la si incolla, se il taglio è recente, e così anche le altre membra del corpo che non appartengano ai punti importanti e vitali.
Ogni gruppo di persone alleva un uccello assai grande, di una particolare specie, e con questo fanno delle prove per vedere quale disposizione di spirito abbiano i fanciulli, quando ancora non parlano. Infatti, li mettono sopra questi animali e quando gli uccelli volano, i bambini che resistono al trasporto per aria, li allevano, mentre quelli che vengono colti da nausea e sono pieni di sbigottimento, li abbandonano, in quanto destinati a non vivere a lungo, e, per il resto, indegni di esser presi in considerazione a causa della loro disposizione di spirito.
È sempre il più anziano di ciascun gruppo ad avere l’autorità, come un re in certo senso, e a costui tutti obbediscono; quando egli, finiti i centocinquantanni, secondo la legge si uccide, gli succede il più anziano dopo di lui.
Il mare intorno all’isola, che è agitato dalle correnti ed è soggetto a grandi riflussi e ad alte maree, è dolce di sapore. Delle costellazioni che appaiono da noi, le Orse e molte altre in generale non sono visibili;
queste isole erano sette, simili per grandezza, a uguale distanza l’una dall’altra, e in tutte si praticavano i medesimi usi e le medesime leggi.
Tutti gli abitanti delle isole, pur avendo abbondanti provviste di ogni cosa che vi cresce spontaneamente, tuttavia non si danno a goderne senza misura, ma perseguono la semplicità e prendono il cibo che è loro sufficiente; la carne e tutti gli altri cibi arrostiti e lessati nell’acqua li preparano loro, mentre sono del tutto ignoranti degli altri intingoli, fatti con arte da cuochi di professione, e dei vari modi di condire.
Biblioteca storica – Racconto n. 1 – Parte IV (ultima)
Venerano come divinità ciò che circonda tutte le cose, e il sole, e in generale tutti i corpi celesti.
Pescano una gran quantità di pesce di varia specie in svariati modi, e cacciano non pochi volatili.
C’è, presso di loro, una gran quantità di alberi da frutto che vengono su spontanei, e crescono olivi e viti, da cui traggono olio in abbondanza e vino. Vi sono serpenti che si distinguono per dimensioni e che non recano al cuna offesa agli uomini; hanno carni commestibili, che si distinguono per dolcezza. Le vesti se le fanno loro con certe canne che hanno all’interno una lanugine risplendente e morbida, che raccolgono e mescolano con le conchiglie marine frantumate, creando mirabili mantelli di porpora. Le specie animali sono particolari e incredibili per la loro stranezza. Presso di loro il regime alimentare segue un determinato ordine: non prendono tutti contemporaneamente il cibo e neppure gli stessi alimenti; spesso è stabilito che in certi giorni determinati essi mangino talvolta pesce, talvolta carne di uccello, talora di animali di terra, e qualche volta olive e i piatti più semplici. Si servono l’un l’altro, a vicenda: alcuni pescano, altri si impegnano nei mestieri artigianali, altri si occupano di altre utili attività, altri prestano servizi pubblici a turno, tranne chi è ormai vecchio.
Presso di loro, nelle feste e nei conviti si recitano e si cantano inni ed encomi in onore degli dei, soprattutto del sole, dal quale hanno dato nome alle isole e a se stessi. Seppelliscono i morti quando la marea è bassa, interrandoli nella sabbia, cosicché quel luogo durante l’alta marea sia ricoperto di nuova sabbia. Affermano che le canne, da cui deriva il frutto per il loro sostentamento, hanno lo spessore di un palmo, crescono durante i periodi di luna piena e viceversa rimpiccioliscono proporzionatamente nei periodi in cui la luna manca. L’acqua delle sorgenti calde, che è dolce e salutare, mantiene il calore, e non si raffredda mai, a meno che non sia mescolata con acqua fredda o vino.
Rimasti sette anni presso di loro, Giambulo e il compagno furono scacciati contro la propria volontà, in quanto ritenuti malfattori e per essere stati educati con malvagie abitudini. Dunque, costruita un’altra volta una barchetta, furono costretti a partire, e, dopo avervi messo dentro del cibo, navigarono per più di quattro mesi; furono sbattuti in India, sulla spiaggia, in contrade lagunose. E il compagno rimase ucciso dai flutti, mentre Giambulo, avvicinatosi a un certo villaggio, fu condotto dalla gente del paese dal re nella città di Palibotra, lontana dal mare un cammino di molti giorni. Poiché il re aveva simpatia per i Greci, ed era devoto alla scienza, egli fu considerato degno di grande accoglienza. Alla fine, con un salvacondotto passò dapprima in Persia, e più tardi giunse sano e salvo in Grecia. Giambulo considerò questa vicenda meritevole di essere scritta e trattò non pochi argomenti sull’India, ignorati dagli altri popoli. Per quanto ci riguarda, dal momento che abbiamo adempiuto la promessa fatta all’inizio del libro, lo concluderemo a questo punto.”
Biagio, racconto interessantissimo.
Secondo le poche informazioni dove potrebbe ipoteticamente essere situata quest’Isola di cui ci parla Diodoro?
Nella Parte I ho riportato che Diodoro Siculo dice:
– […] “A proposito, invece, dell’isola che è stata scoperta nell’Oceano a meridione, e delle cose straordinarie che si dicono su di essa […]
E ancora:
– […] “più tardi, però, fu preda (Giambulo) di certi banditi etiopi con il compagno, e condotto via, alla zona marittima dell’Etiopia.”
– […] “ingiunsero loro di prendere il largo secondo il responso, ordinando loro di navigare verso meridione.”
Ulteriori dettagli sono a tua disposizione all’inizio dell’articolo, Racconto n. 1 – Parte I.
Ad ogni modo, da quello che ho riportato sopra, si evince che il personaggio e il suo amico partirono dall’Etiopia, navigando verso meridione, nell’Oceano a meridione. Pertanto, risulta evidente che si tratti dell’Oceano Indiano; lì è stata scoperta l’isola di cui parla Diodoro Siculo.
Non conoscevo questi racconti veramente interessantissimi
Grazie mille, Giuseppe.
Ma se ho ben capito il tutto si riferisce ad Atlantide ed i suoi abitanti
Nella Parte I ho riportato che Diodoro Siculo dice:
– […] “A proposito, invece, dell’isola che è stata scoperta nell’Oceano a meridione, e delle cose straordinarie che si dicono su di essa […]
E ancora:
– […] “più tardi, però, fu preda (Giambulo) di certi banditi etiopi con il compagno, e condotto via, alla zona marittima dell’Etiopia.”
– […] “ingiunsero loro di prendere il largo secondo il responso, ordinando loro di navigare verso meridione.”
Ulteriori dettagli sono a tua disposizione all’inizio dell’articolo, Racconto n. 1 – Parte I.
Ad ogni modo, da quello che ho riportato sopra, si evince che il personaggio e il suo amico partirono dall’Etiopia, navigando verso meridione, nell’Oceano a meridione. Pertanto, risulta evidente che si tratti dell’Oceano Indiano; lì è stata scoperta l’isola di cui parla Diodoro Siculo. Non credo si tratti di Atlantide che, notoriamente (v. Platone) è stata situata nell’Oceano Atlantico.
Come sempre interessante e stimolante, sapendo anche la serietà e onesta intellettuale che sei solito applicare nelle tue ricerche.
A tal proposito vorrei chiederti – se ha avuto modo di leggerlo – che ne pensi del libro: “La regalità degli dei” di Victor Nunzi. Pensi possa essere interessante da leggere o potrebbe essere fuorviante?
Grazie
Grazie per i complimenti. Per il resto, che dire… Cosa ne penso?
Preferisco parlare di me e dei miei lavori, evito di commentare altri autori, le loro pubblicazioni e il loro editore.
Hai letto il mio Schiavi degli Dei?
Certo che l’ho letto! Anche “Uomini e Dei della Terra”.
Mi sono azzardato a chiederti sulla pubblicazione sopra citata, perché ho trovato molte corrispondenze con il contenuto dei tuoi libri, forse su qualche datazione qualcosina di diverso, come a esempio la mitologia dei sumeri datata a circa 474 k/anni prima, e la contrapposizione tra i due schieramenti simboleggianti l’uno l’Aquila e l’altro il serpente. Chiaramente vincitori sono gli “aquilotti”.
Comunque senza chiederti un parere sarebbe interessante sapere se lo hai solo letto.
Grazie!
Massimo, nessun problema, anzi, ti ringrazio per avermi chiesto un parere: è un chiaro segno di apprezzamento e stima nei miei confronti.
Io, per scelta di ricercatore, non leggo i saggi, ma i testi antichi originali.
Non ho letto, ovviamente, il testo che mi indichi, ma, da quel che mi hanno riferito, sembra molto simile ai contenuti dei mei due libri che conosci, fa riferimento a Sitchin, ecc.
Non apporterebbe niente di nuovo.
Non so altro.
Grazie a te, Massimo.
Buon fine settimana.